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La sconfitta di Renzi

martedì, 27 giugno 2017 10:41

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Renzi durante un comizio alla Festa dell'Unità di Bosco Albergati il 7 agosto 2013, poco dopo aver annunciato la sua candidatura come segretario del Partito Democratico. - Da https://it.wikipedia.org/wiki/Matteo_Renzi - Autore: HartemLijn - Fonte: Opera
Rosario Pesce
È evidente che il secondo turno delle elezioni amministrative della scorsa domenica abbia segnato un arretramento ulteriore del PD di matrice renziana, visto che, nelle città medio-grandi, dove si è votato, il partito, che guida il Paese, ha perso per mano del Centro-Destra o dei Grillini, dimostrando così di essere scomparso dalla società italiana.
D’altronde, questo non è il primo segnale, ma segue altri due, ben più importanti: la sconfitta alle amministrative del 2016 e quella, ben più cocente, al referendum dello scorso 4 dicembre.
Tre dati, dunque, non segnano un indizio, ma sono la prova compiuta che Renzi non attrae più consensi.
Cosa fare, allora?
È ovvio che la sua riconferma, alle primarie dello scorso aprile, sia stata per lui un elemento confortante, ma potrebbe non bastare, dal momento che, da qui al voto politico del prossimo mese di febbraio, il suo stesso partito potrebbe chiedergli di fare un passo indietro e di rinunciare, quindi, alla candidatura a Palazzo Chigi.
D’altronde, se il trend dovesse essere confermato, la competizione per il prossimo Parlamento potrebbe essere riservata solo alla Destra ed ai Grillini, con un PD condannato a recitare la parte della terza forza del Paese, dietro appunto gli schieramenti guidati da Berlusconi o Salvini e da Grillo.
Peraltro, non sfugge che, anche, i maggiorenti che hanno sempre sostenuto Renzi, questa volta, hanno preso le distanze in modo netto: è il caso di Rosato, capogruppo alla Camera ed uomo di Franceschini, che ha ammesso molto candidamente la sconfitta, rinunciando - finanche - a difendere il povero ex-Premier.
È un segnale, questo, molto preoccupante, perché dimostra come il consenso interno verso Renzi sia sempre più flebile.
È ipotizzabile, quindi, attendere nel prossimo autunno, già a settembre dopo la pausa estiva, una resa dei conti, che può spingere gli uomini della Margherita, presenti all’interno del PD, a farsi promotori di un cambiamento di rotta, molto brusco ma anche estremamente significativo.
Frattanto, i dissidenti di Bersani, D’Alema e Pisapia sono alla finestra, aspettando l’evoluzione del dibattito interno al PD, sapendo bene che, se qualcuno avrà la forza di indebolire definitivamente Renzi, loro stessi sarebbero ben felici di rientrare nel PD ovvero di stipulare un accordo elettorale, che li veda in coalizione con un partito, finalmente, non più a guida renziana.
I prossimi mesi, dunque, saranno decisivi, perché ci diranno chi sarà il leader del PD nel corso della prossima legislatura, anche perché, invero, non si può abbandonare l’Italia nelle mani di Berlusconi o di Salvini o di Grillo, rinunciando palesemente ad essere competitivi alle prossime elezioni.
Quindi, se si intende sopravvivere, bisogna cambiare ed, a quanto pare, lo hanno capito, anche, dalle parti di Largo Nazareno.
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