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Ugo Mancini: ragioni e vicende degli antifascisti a Roma e nei Castelli Romani

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venerdì, 07 luglio 2017 18:23

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Francesca Bianchi
FtNews ha intervistato il prof. Ugo Mancini, docente di storia e filosofia al liceo classico Ugo Foscolo di Albano Laziale e autore di articoli, monografie, saggi e manuali scolastici di argomento storico.
Nel corso della nostra conversazione, il professore ha parlato del suo ultimo libro, 1926-1939, L’ITALIA AFFONDA. Ragioni e vicende degli antifascisti a Roma e nei Castelli Romani, pubblicato da Infinito Edizioni nel 2015, in occasione del 70° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale.
Lo storico, uno dei maggiori esperti del periodo compreso tra le due guerre mondiali, ha ripercorso le origini dell'antifascismo nei Castelli Romani, soffermandosi sull'importanza del ruolo di Roma e della sua provincia all'interno del movimento antifascista. Il prof. Mancini ha ribadito più volte che il fascismo non è un fenomeno che si può confinare tra i due conflitti mondiali, mostrando particolare preoccupazione per la deriva personalistica di molte democrazie moderne. Con grande entusiasmo lo storico ha raccontato del progetto Viaggi della Memoria, rivolto agli studenti del liceo, che promuove, in collaborazione con il Comune di Albano Laziale e con Ada Scalchi, Presidente dell'Associazione Famigliari delle vittime dei bombardamenti di Propaganda Fide di Albano Laziale, per far capire ai ragazzi quali siano i rischi cui si va incontro, quando si accettano politiche che anziché ridurre ed accogliere le diversità, tendono ad esasperarle e a condannarle.

Prof. Mancini, come è maturata l'idea di pubblicare "1926-1939, L’ITALIA AFFONDA. Ragioni e vicende degli antifascisti a Roma e nei Castelli Romani", un libro che ricostruisce dettagliatamente la storia dell'antifascismo a Roma e nei Castelli?
Mi hanno indotto a dedicarmi a questa ricerca la constatazione che non esistevano una storia organica dell’antifascismo castellano e romano e uno studio composito su come l’antifascismo castellano è mutato nel corso del ventennio. L’antifascismo che considero è quello dei diversi comuni dei Castelli Romani e dei quartieri e dei rioni romani che tra il 1926 e il 1939 hanno visto aumentare il loro disagio e la loro miseria. Il libro ricostruisce le vicende e le speranze degli antifascisti, di uomini e donne che hanno lottato per una società più giusta. Mi sono occupato di chi si è opposto al fascismo per i danni che ha causato e lo stato di miseria che ha accentuato tra le masse popolari.

Quale clima si è respirato dal 1926 al 1939 nel territorio dei Castelli Romani?
Con l’avvento del fascismo le masse furono restituite a una sorta di servitù medievale. Ci fu un ritorno al passato, con amministrazioni al servizio di un partito nelle mani dei potenti o complici dei proprietari terrieri, con una politica basata sull’esercizio spesso gratuito della forza per scoraggiare la rivendicazione di diritti da parte delle masse popolari. Le loro critiche al regime intercettavano un disagio profondo, causato da una persistente crisi economica, dalla disoccupazione, dalla miseria e dall'esasperazione delle disuguaglianze, alimentata dalla politica fascista.
La condivisibilità delle loro analisi non riusciva, però, a produrre nelle masse una condivisione delle loro battaglie. La paura causata dall'imponente macchina repressiva fascista e un'impreparazione generale che impediva la maturazione di una precisa coscienza politica costituivano un baluardo insormontabile, di cui il fascismo approfittò per difendere se stesso dai propri oppositori.
A Roma e nei Castelli Romani il movimento antifascista nel corso del ventennio altalenò tra momenti di fermento e di ripresa e altri in cui sembrava che il fascismo avesse sbaragliato definitivamente tutti i suoi oppositori. In realtà, l'antifascismo organizzato, sia a Roma che nei Castelli Romani, non scomparve mai del tutto, neanche nei momenti in cui il consenso per il regime sembrò più ampio. Decine di uomini continuarono a muoversi in maniera sotterranea, spesso in maniera disorganica per le difficoltà legate ai collegamenti tra i diversi quartieri, i diversi comuni e gli organi dirigenti di ciascun partito e per le poche informazioni disponibili.

Quali furono le caratteristiche dell'antifascismo dei Castelli Romani?
Quello dei rioni e dei quartieri popolari romani e dei comuni castellani fu un antifascismo in cui la lotta contro il regime fu una lotta per la dignità, per la libertà, per il lavoro, per i diritti, per la democrazia. Si trattò di un antifascismo spesso scollato e persino all'avanguardia rispetto a quello teorizzato dai massimi dirigenti di partito, per una tendenza più spiccata e un bisogno più marcato di esaminare la realtà e di immaginare il futuro su un piano strettamente concreto e in un arco temporale tarato sull'uomo. Si trattò anche di un antifascismo non isolato socialmente, soprattutto nel territorio romano di San Lorenzo e in quello dei Castelli Romani. Attorno agli antifascisti più attivi spesso era palpabile un malcontento che concorreva a delineare una rete sotterranea di solidarietà e complicità, che consentiva la comparsa di energie nuove, mano a mano che i sovversivi più noti finivano in carcere o al confino. Si trattò anche di un antifascismo molto mobile, fatto di rapporti continui tra i diversi rioni e quartieri di Roma, tra Roma e i Castelli Romani e tra i diversi comuni dei Castelli Romani, con questi ultimi a costituire un riferimento fermo per ogni tentativo di ripresa dell'organizzazione comunista romana. Gli antifascisti di Genzano o di Albano furono costantemente presenti nella Capitale e furono quasi sempre coinvolti nelle retate più significative; quelli romani furono spesso alla ricerca di contatti con l'antifascismo castellano.
Quali legami si stabilirono tra l'antifascismo romano e quello castellano?
Con l'inizio della clandestinità tra Roma e i Castelli Romani si verificò una sorta di osmosi: in certi periodi alcuni comuni furono punto di riferimento ed assunsero una funzione di stimolo per il movimento antifascista romano; in altre occasioni fu quest'ultimo ad assolvere il medesimo compito verso i Castelli per stimolare una ripresa dell'attività d'opposizione con nuove strategie e parole d'ordine. Genzano ed Albano furono punto di riferimento del Partito comunista, specialmente per la stampa di opuscoli e persino de L'Unità clandestina; Frascati e Castel Gandolfo lo divennero per gli oppositori cattolici. Soprattutto a Genzano interi gruppi di giovani ingaggiarono la propria sfida al regime, emulando quanti avevano pagato con il carcere o con la vita analoghe battaglie condotte sotto lo Stato pontificio o durante il periodo liberale.

Dove vanno rintracciate le origini della vitalità dei sovversivi castellani?
La loro vitalità era frutto dell'esperienza maturata tra fine Ottocento e inizio Novecento attraverso le lotte contadine per i salari, il collocamento, la giornata lavorativa e la terra. Giovani contadini si erano formati sindacalmente e politicamente seguendo le orme di capilega particolarmente combattivi. All'interno delle leghe contadine centinaia di iscritti avevano maturato esperienza e determinazione nel fronteggiare proprietari terrieri, forze dell'ordine, prefetti ed amministrazioni ostili. Molti erano stati protagonisti di significative mobilitazioni di massa e di scioperi largamente partecipati; tanti altri avevano assistito o avevano in famiglia il ricordo recente delle conquiste che avevano cambiato radicalmente la qualità della vita di migliaia di contadini. Per quasi l'intera popolazione del territorio la giornata lavorativa di sei ore, l'organizzazione del collocamento e salari che nell'immediato dopoguerra sfiorarono le quattro lire l'ora costituirono la pietra miliare per valutare la politica fascista.

Riprendendo il titolo del libro, negli anni 1926-1939 "l'Italia affonda". Per quale motivo?
Con l'avvento del fascismo in Italia c'è stata una progressiva perdita di diritti e di speranza. Fino a poco tempo prima del conflitto mondiale molti lavoratori avevano conquistato diritti importanti, come paghe più alte e giornata lavorativa più corta. Arrivò il fascismo e cancellò tutto. L'Italia affonda perché la sensazione diffusa tra le masse popolari era che non ci fosse più speranza, ma soltanto prospettive non realizzabili e non vantaggiose per le persone. Il titolo riprende la frase dell'economista Felice Guarneri, ministro fascista che paragonò l'economia nazionale ad una "fragile barca", costretta a navigare in un mare pieno di inquietudini. Era diffusa la sensazione che il governo cambiasse obiettivi ed orientamenti senza criterio e che le persone fossero in balia di questa improvvisazione continua. Occasionalmente, nel corso del ventennio, gli oppositori furono portati ad aggrapparsi a qualunque appiglio per ritenere che la fine del regime potesse essere vicina: che qualcuno dall'estero intervenisse, che il re o che la popolazione si riscuotessero ed agissero. Speranze puntualmente svanite nell’arco di pochissimo tempo.

Cos'è stato, secondo Lei, il fascismo?
Il fascismo è qualcosa di molto complesso che non si può ridurre a Mussolini. E' la sintesi politica di un movimento che ebbe origine a metà dell'Ottocento, il cui obiettivo principale era di contenere l'avanzata delle masse popolari. A metà '800 si iniziò a parlare di figure speciali a cui uno Stato avrebbe dovuto affidarsi totalmente, senza controllo alcuno. Il fascismo fu il punto di arrivo di un pensiero che già nel secolo precedente mirava ad assegnare posizioni di dominio ad aristocrazie economiche o talentuose (per dirla con Mencken, pensatore di riferimento di diversi elementi molto vicini a Trump), che riteneva le masse popolari una zavorra che frenava la corsa dei "migliori" e che era drasticamente ostile a ogni politica sociale. Come non cogliere il legame tra la tesi primonovecentesca di Sumner, secondo la quale gli squilibri sociali sono il segno positivo di quanto i "migliori" continuino ad allontanarsi da moltitudini prive di requisiti e capacità e l’esaltazione mussoliniana della natura come regno della diseguaglianza?
In altri saggi mi sono occupato nello specifico delle radici ottocentesche del fascismo e dei forti legami con il darwinismo sociale statunitense, liberista e antistatalista, ma evolianamente affascinato da quella condizione di anarchia, di assenza di freni e di vincoli, che può consentire all’uomo "giusto" di conquistare in maniera assoluta il potere di imporre la propria volontà come legge. Non possiamo in questo senso dimenticare la prospettiva manchesteriana, evocata da Mussolini, e il disprezzo per le masse contenuti nel discorso di Udine del 20 settembre 1922.
Negli anni Trenta il fascismo volle diventare totalitario. Ma, come ha ricordato Timothy Snyder in un recente saggio (On Tyranny: Twenty Lessons from the Twentieth Century), negli Stati Uniti non furono poche le difficoltà a prendere le distanze dal fascismo europeo, persino quando fu chiaro quale rischio e quale minaccia avrebbe rappresentato per il mondo, così come non sono pochi i simpatizzanti che collaborano con l’attuale presidenza.

Cosa ha determinato il successo del fascismo?
Il suo successo dipese da vari fattori: difficoltà economiche di quel tempo, mancanza di lavoro, disordine sociale, incapacità dei partiti di collaborare tra loro, tentativo, da parte dei contadini-operai, di intraprendere un percorso che la guerra aveva interrotto, come l'occupazione di terre. Tutto ciò ha determinato un grande bisogno di ordine e chiarezza. Mussolini ha dato la sensazione di poter garantire quell'ordine attraverso l'uso della forza e della violenza. Molti si sono avvicinati al fascismo senza essere fascisti. Mussolini si è presentato come un leader in grado di fiutare ciò che la gente voleva sentirsi dire.
Il fascismo, sintomo di una crisi grave e prodotto di una parte della società che aveva bisogno di tutelarsi dalle masse, ha rappresentato la riaffermazione più semplice e più rozza del principio d'autorità. In merito giova ricordare una frase del genzanese Tommaso Fagiolo, uno dei proprietari terrieri più reazionari ed ostili verso le masse contadine: Con il fascismo abbiamo riportato i contadini alla servitù medievale
Quali furono i limiti delle azioni di contrasto al fascismo adottate dai diversi partiti?
Ciascuno rimase per conto proprio, non si riunirono per impedire a Mussolini la conquista del potere, rimasero divisi sul piano ideologico e deboli di fronte alla violenza fascista e alle iniziative di Mussolini. La forte contrapposizione tra partiti, prima della marcia su Roma, ha impedito la nascita di un governo che garantisse le libertà elementari. Poi la dittatura e la repressione fecero il resto, spingendo tendenzialmente chi stava peggio o chi dissentiva verso la rassegnazione o verso una chiusura nel privato. D’altro canto, poi, si è anche accentuato uno scollamento già sensibile nel 1920 tra dirigenti dei partiti, poi in clandestinità, e il resto della società civile. Uno scollamento dettato da logiche strettamente partiche o da ideologie che mettevano in gioco i massimi sistemi o un cammino della storia dai tempi biblici, dimenticando le persone e il loro diritto a essere felici nel corso della loro esistenza.

Perché una storia dell'antifascismo oggi non può considerarsi superata?
Oggi siamo di fronte ad una crisi politica di enormi dimensioni, di fronte alla quale i partiti hanno perso gli ideali. E' tornato in auge un modello personalistico di fare politica: le democrazie si stanno trasformando in senso autoritario e personale. Siamo di fronte al tentativo di ridurre diritti, opportunità, persino la dignità delle persone, in nome di una sicurezza declinata su piani diversi: nazionale, etnico, economico o individuale. Il fascismo è un modello camaleontico che si adatta a tante situazioni, non è solo quello del ventennio. Ne sono una prova la Turchia di Erdogan, con l'ultima riforma Costituzionale, e il ruolo di Steve Bannon, lo stratega della campagna elettorale di Donald Trump, legato a movimenti dell'estrema destra statunitense, all'interno dei quali si leggono Mencken, Evola e si fa il saluto romano. Il fenomeno populista è molto diffuso anche in Italia, dove sempre più frequentemente si cerca un leader più che un progetto di Paese, dove i leader preferiscono la nomina dall’alto all’elezione dal basso, dove i partiti sono strutturati in maniera verticistica, non ammettendo il dibattito al loro interno e avendo aspirazioni totalitarie sul piano del consenso. L'antifascismo affidava alle istituzioni la costruzione di un Paese migliore, mentre oggi quello stesso compito lo si affida alle singole persone, ritendo normale che si debba concedere loro una fiducia totale e in bianco.

Attualmente è impegnato in qualche ricerca o progetto?
Insieme al Comune di Albano e ad Ada Scalchi, Presidente dell'Associazione Famigliari delle vittime dei bombardamenti di Propaganda Fide di Albano Laziale, sono impegnato nell'organizzazione dei Viaggi della Memoria, articolati tra Cracovia e Berlino. Le politiche attuali stanno adottando modelli di comportamento preoccupanti nei confronti delle diversità. Noi promuoviamo questi viaggi per far capire ai ragazzi quali siano i rischi cui si va incontro, quando si accettano politiche che anziché ridurre ed accogliere le diversità, tendono ad esasperarle e a condannarle. Quest'anno siamo stati ad Auschwitz, a Birkenau e, per la prima volta, a Ravensbrück, il più grande campo di concentramento femminile della Germania nazista. Da questi viaggi è nato il Concorso Artistico-Letterario Come con gli occhi dei bambini di Terezin, che abbiamo fortemente voluto per far sì che i ragazzi potessero esprimere letterariamente, artisticamente o visivamente le emozioni provate durante la visita di Cracovia e dei campi di Auschwitz e di Birkenau, per i terzi del Liceo Foscolo e per gli studenti dell'Istituto Murialdo, e di Berlino e di Ravensbrück, per i quarti del Liceo Foscolo. Giovedì 8 giugno abbiamo premiato i ragazzi vincitori del concorso.
Devo dire che in tutti i lavori che ci sono pervenuti abbiamo riscontrato una forte partecipazione emotiva. Questa generazione non ha neppure i nonni che possano raccontare gli anni duri della guerra. Questa esperienza ha segnato molto i ragazzi, rendendoli consapevoli di una tragica realtà, di cui avevano sempre e solo letto sui libri di scuola.
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