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Un’emergenza internazionale

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venerdì, 18 agosto 2017 15:29

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da: TGCom24 - Mediaset.it
Rosario Pesce
Il terrorismo è, ormai, un’emergenza internazionale.
Questa è una verità, che conoscevamo da tempo, e che l’attentato di Barcellona non può che confermare.
Non si riesce a trovare il modo, sia sul piano politico, che su quello strettamente militare, di evitare simili nefandezze, agendo in particolare sul piano della prevenzione.
Il pericolo è ad ogni angolo di strada e, quando ci troviamo a passeggiare lungo i centri più importanti d’Europa, dobbiamo mettere in preventivo che un attentato possa uccidere noi e tanti nostri simili.
Perché tutto questo?
Non c’è nessuna ragione geo-politica o religiosa, che possa giustificare la furia omicida di chi, in modo deliberato, si mette al volante di un furgone e si lancia contro la folla inerme, preventivando - finanche - la propria stessa morte.
Purtroppo, ieri un fatto analogo è successo, mettendo fine alla vita di tredici innocenti, e chissà quante altre volte dovrà accadere, prima che il terrorismo scompaia dalla scena delle grandi città del vecchio continente.
Ma, dove l’Occidente ha sbagliato?
Forse, non dovevamo intervenire militarmente nei Paesi arabi, portando loro una parvenza di democrazia e di modus vivendi europeo?
Forse, la logica dell’accoglienza e della tentata integrazione di milioni di immigrati sul suolo europeo sta divenendo un boomerang?
Forse, l’irrisolta questione Nord-Sud del mondo è la miccia, che ha fatto esplodere una bomba, di cui pagheremo le conseguenze per decine di anni ancora?
Certo è che giovani, bambini, anziani, donne muoiono per mano di sconosciuti e non conoscono, neanche, la ragione per cui devono perdere la vita in maniera così cruenta.
Il consesso internazionale è debolissimo rispetto ad una simile spirale: ogni decisione delle Nazioni Unite o degli altri organismi internazionali sembra una goccia in un oceano, non capace di risolvere un’emergenza effettiva.
Cosa fare, allora?
Affidarsi al Padre Eterno, quando si esce per strada, sperando che dietro l’angolo non ci sia il terrorista pronto ad immolarsi in nome di Allah?
Forse, modificare il proprio atteggiamento di umana comprensione verso il dramma di migliaia di diseredati, che ogni giorni approdano sulle nostre coste, visto che fra questi potrebbe nascondersi il terrorista inumano e crudele?
O, forse, ci piace ancora sognare un mondo privo di conflitti, nel quale l’integrazione e l’accoglienza del diverso – per razza e per religione – siano il mantra, che consente a tutti di vivere pacificamente, nonostante le indubbie e legittime differenze?
Il mondo, certo, è peggiorato: le guerre, prima, vedevano come protagonisti solo i soldati ed i professionisti delle armi.
Oggi, invece, muore l’innocente, il bambino, la donna, che forse non conoscono, neanche, le ragioni del terrorismo internazionale e che vorrebbero, unicamente, passeggiare in modo sereno, con i propri affetti, lungo le strade dello shopping e dei centri storici europei.
Ma, siamo in guerra e questo dato non può non essere compreso nella sua oggettiva e brutale dimensione strutturale.
Forse, la guerra la vinceremo in un futuro prossimo, ma purtroppo, prima di quella conclusione amena, dovremo piangere ancora molte migliaia di morti, come ieri è avvenuto a Barcellona?
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