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Bardonecchia e Mentone: il piano giuridico e quello umano

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mercoledì, 11 aprile 2018 16:27

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Fabrizio Federici
Proviamo a fare il punto - su un piano strettamente giuridico - anzitutto sul "caso Bardonecchia" di sabato 31 marzo: cioè l'operazione di 5 agenti della polizia doganale francese entrati nei locali di un centro per migranti di Bardonecchia, in provincia di Torino, per far fare il test dell’urina a un cittadino nigeriano che sospettavano fosse uno spacciatore. Le discussioni si son concentrate sulla legittimità del comportamento della polizia francese, difeso e giudicato regolare dal ministero francese dei Conti pubblici, cui fa capo la polizia doganale; e definito «grave», invece, dal nostro ministero degli Esteri.
Scendendo ad analizzare l'episodio sul piano anzitutto del diritto internazionale, però, da un lato ci si accorge che la materia è più complessa di quel che può sembrare, essendo diversi gli accordi italo-francesi sulla cooperazione di frontiera - specie sul tratto ferroviario Modane- Bardonecchia, dove l'uomo è stato fermato - tra le due polizie (dal vecchio accordo del 1963 a quello di Chambery del 1997, sino a quello recentissimo del 2012); senza naturalmente dimenticare l'accordo europeo di Schengen. Dall'altro viene il dubbio che l'episodio sia stato anche pretestuosamente "gonfiato" da Governo e mass-media: vari testimoni sentiti in questi giorni dai giornali, infatti, han raccontato che è normale vedere poliziotti francesi a Bardonecchia, così come poliziotti italiani a Modane, e non è chiaro se, ogni volta, si avvertano a vicenda (come prescritto dagli articoli 40 e 41 del trattato di Schengen, regolanti appunto i casi di sconfinamento di agenti di forza pubblica da un Paese a un altro).
Il problema, in ogni caso, è quel che è successo quando i poliziotti sono scesi a Bardonecchia: qui infatti sono entrati, armati, nei locali della stazione attualmente usati dalla ong "Rainbow for Africa", che si occupa principalmente dei migranti che provano ad oltrepassare il confine verso la Francia. Locali che, in base a un vecchio accordo del 1963, erano stati concessi appunto alla polizia francese, in virtù della collaborazione transfrontaliera Italia-Francia. Secondo la Farnesina, però, quei locali non erano più a disposizione dei poliziotti francesi, perché occupati dalla ong: il comunicato parla d'una comunicazione in merito avvenuta a marzo scorso tra le Ferrovie dello Stato italiane e le Dogane francesi (i poliziotti transalpini quindi sapevano che non potevano usare quei locali), e d'un incontro previsto, per il 16 aprile, alla Prefettura di Torino, per discutere appunto la questione.
Il trattato di Schengen, poi, in ogni caso proibisce alle singole polizie nazionali di fermare o arrestare una persona oltre il confine, anche in situazioni d'emergenza. Mentre secondo l’ASGI, Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione, gli agenti francesi avrebbero di fatto proceduto al fermo del cittadino nigeriano sospettato. Sempre l’articolo 41 di Schengen, inoltre, vieta l’ingresso agli agenti francesi «nei domicili e nei luoghi non accessibili al pubblico»: come forse sono quelli della stazione di Bardonecchia dopo la fine dell’accordo che li metteva a disposizione della polizia francese. Secondo l’ASGI, infine, gli agenti non potevano ottenere il campione di urina del sospettato senza un’autorizzazione d'un Pubblico ministero italiano, come giustamente previsto dal nostro Codice di procedura penale.
Sicuramente in territorio francese, invece, s'è verificato l'altro caso della migrante incinta (anche lei nigeriana), proveniente da Ventimiglia coi suoi familiari, e fatta scendere dal treno con la forza a Mentone. L’episodio (risalente in realtà a metà febbraio, ma divulgato solo ora) è stato riportato in un video e divulgato ultimamente da tre studenti francesi, invadendo i social (poche settimane fa, peraltro, il Tribunale di Nizza, accogliendo un ricorso presentato dalle associazioni che si occupano di migranti, aveva riconosciuto come illegittimo il respingimento in Italia di migranti di minore età! ).
“Ogni Stato deve lavorare per garantire la sicurezza e difendere la legalità, ma questo non vuol dire dimenticarsi dell’umanità e della solidarietà, del rispetto per i diritti umani, e della tutela della salute delle migranti incinte e dei minori non accompagnati", commenta Foad Aodi, Fondatore dell’Associazione Medici di Origine Straniera in Italia (AMSI) e della Confederazione Unione Medica Euromediterranea-UMEM: che rileva l’atteggiamento violento della polizia francese in questo caso. Aodi, che è Presidente del Movimento Internazionale Transculturale Interprofessionale “Uniti per Unire”, a sua volta aggregante numerose realtà associative e comunitarie, precisa: “Siamo sdegnati dall’atteggiamento della Francia nei confronti dei migranti: doveva essere il Paese della libertà, dell’uguaglianza e della fratellanza, ma è diventato negli ultimi anni il Paese delle discriminazioni e del populismo… Non è con la forza che si scioglie la matassa dell’immigrazione illegale – prosegue – ma con una legge europea d’immigrazione che preveda un bilancio dell’accoglienza dei migranti spartito equamente tra tutti i Paesi UE; e soprattutto il rafforzamento delle misure di sicurezza e dei servizi socio-sanitari, che parta dai nostri Paesi d’origine e preveda una maggior collaborazione con le Comunità e Associazioni di origine straniera. Ci rincresce che questa legge europea manchi nelle agende politiche internazionali, e ci rincresce anche, per quanto riguarda l’Italia, che l’immigrazione sia strumentalizzata per fini mediatici e politici; e che, proprio per questa ragione, l’urgenza di questa legge sia caduta nell’ombra, anche per colpa dei partiti liberali e democratici… Non fermeremo la nostra azione, come professionisti della Sanità di origine straniera in Italia, per contrastare qualsiasi “mina” per la dignità umana e il rispetto reciproco tra i popoli, le culture e le religioni”.
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