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Un Renzi in trincea

martedì, 10 luglio 2018 05:54

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Rosario Pesce
Renzi ha un’evidente capacità: a distanza di quattro mesi dal voto, fa un’analisi di quella sconfitta, ancora bruciante, ed addossa la principale responsabilità della disfatta del 4 marzo agli avversari interni, che – a suo dire – avrebbero indotto gli Italiani a non votare per il PD, preferendo piuttosto la Lega o il Movimento Grillino.
È ovvio che la realtà complessa dell’elettorato italiano non può essere ridotta in modo così semplicistico: è chiaro che, in democrazia, esiste un dibattito, per cui è altrettanto naturale che un leader ed un partito devono essere in grado di vincere ben oltre le ragioni legittime del dissenso altrui, anche perché il fine della politica è la costruzione del consenso e non certo la disseminazione dell’odio e delle divisioni, tanto più all’interno di un gruppo dirigente che proviene dalla medesima radice culturale ed ideale.
Peraltro, questo è il passato, ma qual è la ricetta per far rinascere il PD dalle sue ceneri, creando le premesse per una rivincita elettorale a breve?
Sul futuro – o sull’ipotesi dello stesso – nessuna parola ragionevole da parte di chi ha governato il Paese nel corso degli ultimi quattro anni.
Le uniche sue parole fanno intendere un riposizionamento sullo scacchiere internazionale, che certo non porterà consenso, in particolare fra coloro che hanno preferito Di Maio a Renzi e che sono pronti a ripetere il medesimo voto.
Dire, infatti, che il baluardo al populismo ed alla demagogia è Macron ovvero il nuovo Blair del ventunesimo secolo sembra, per davvero, molto riduttivo: Renzi, infatti, dimentica che Macron è il Presidente di quello Stato, la Francia, che nel 2010 decise di intervenire militarmente nel Nord-Africa, innescando il meccanismo diabolico che ha indotto, nel corso degli ultimi tre anni, centinaia di migliaia di cittadini africani a cercare fortuna nel nostro continente, attraversando il periglioso Mediterraneo.
Visto che la metafora calcistica, attraverso cui leggere la politica, è sempre ricercata da Renzi, questi dimentica che, nello sport più amato al mondo, la squadra che perde in primis licenzia il Mister che ha cagionato la sconfitta.
Orbene, sarebbe grande cosa se Renzi facesse un passo indietro e lasciasse il PD nelle condizioni necessarie per costruire - serenamente - la prospettiva del proprio futuro, mettendo da parte una pagina del proprio recente passato, che deve essere rassegnata allo sforzo di lettura degli storici, perché gli elettori hanno, già, espresso una volta il loro primo giudizio e, se venisse loro richiesto un secondo parere, questo non sarebbe più edificante del primo, sia per lo stesso Renzi, che per ciò che sopravvive tuttora del PD, a livello sia centrale, che di singole comunità locali.
Ma, siamo sicuri che, quando si perde, abbiamo tutti la maturità per farci da parte?
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