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Se il populismo non regge alla sfida del governo…

mercoledì, 01 maggio 2019 14:07

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da: https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/08/dove-crescono-i-populismi/3716329/
Rosario Pesce
È evidente un dato non solo in Italia, ma in tutta Europa: il populismo ha facile gioco nel vincere le elezioni sfruttando il disagio di ampi strati della popolazione, ma poi le forze populiste, arrivate al Governo locale o nazionale, per lo più falliscono in modo clamoroso, visto che l’amministrazione e la conduzione di processi politici complessi non è, certo, cosa facile per definizione.
Ed, allora, qual è l’esito di quel percorso che, in tutta Europa, si è attivato nel corso degli ultimi cinque anni?
Forse, come successe nella Napoli del Seicento, dove Masaniello portato al potere dagli strati più bassi della popolazione fu poi defenestrato dagli stessi che lo avevano osannato l’anno precedente, analogamente nei prossimi mesi cadrà chi ha utilizzato messaggi fuorvianti e demagogici?
È ovvio che stare al Governo è cosa ben diversa che sedersi fra gli scranni dell’opposizione, agitando e fomentando il dissenso sociale, peraltro legittimo, di numerosi settori professionali che sono fuori dai cicli economici imposti dalla globalizzazione.
Ma, qual è la ricetta per risolvere i problemi di una società sempre più desiderosa di giustizia ed equità?
Forse, un ritorno al passato, un movimento di reazione, che riporti al potere le stesse élite, che sono state così platealmente allontanate dalle istituzioni o ridotte ad un ruolo meramente marginale?
È ovvio che, su un simile quesito, si gioca il futuro della democrazia, che è ad un bivio: confermarsi nella sua forma parlamentare – che presuppone autorevolezza da parte dei partiti e delle organizzazioni che mobilitano consenso – ovvero andare verso una forma diretta, non meglio definita, che di certo fa saltare qualsiasi mediazione ad opera dei corpi intermedi?
È, altrettanto, evidente un’ulteriore problematica: siamo certi che la democrazia non venga rigettata come forma di governo, così come è avvenuto in grandissima parte con i partiti politici che erano l’eredità dell’elaborazione culturale dell’Ottocento e del Novecento?
È ovvio che la politica procede nel condizionare le dinamiche sociali di pari passo con i processi economici e, senza scomodare Marx, il fenomeno strutturale è quello produttivo, mentre solo sovrastrutturale è il processo culturale e politico, che si innesta su di esso.
Ed, allora, va indagata a fondo la globalizzazione, perché solo questa potrà chiarirci meglio il futuro delle istituzioni democratiche nei Paesi a maggiore vocazione capitalistica, nei quali ormai solo la religione e la Chiesa cattolica sembrano assumere il ruolo di difensori dei diseredati e di quanti, ogni giorno, vengono espulsi dal processo produttivo.
Forse, un nuovo capitalismo mondiale disegnerà diversamente la nostra democrazia, mandando in soffitta in maniera definitiva quella che abbiamo ricevuto dai nostri nonni, che hanno combattuto il Fascismo ed il Nazismo?
Certo è che, a tutt’oggi, nonostante i suoi limiti, la democrazia rimane il migliore sistema istituzionale per le garanzie di libertà che essa offre, per cui merita – sempre e comunque – di andare difesa e rilegittimata in modo continuo e proficuo.
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