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Michele Porcaro: ASSTEAS - Storia del Vaso più bello del mondo

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martedì, 19 novembre 2019 00:26

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Michele Porcaro e Vittorio Sgarbi
Francesca Bianchi
Mercoledì 13 novembre, nel suggestivo scenario del Museo dell’Arte Classica della Sapienza, si è tenuta la presentazione ufficiale del documentario ASSTEAS - Storia del Vaso più bello del mondo, scritto e diretto dall'archeologo e scrittore Michele Porcaro. Il documentario racconta la storia del Vaso di Assteas, meglio noto come Cratere del Ratto di Europa, dalla sua creazione nella bottega del ceramista pestano Assteas fino alle indagini dei Carabinieri del Reparto Tutela del Patrimonio Culturale, passando per il ritrovamento ad opera di un contadino a Dugenta-Sant’Agata de’ Goti e l’arrivo illecito al Getty Museum di Malibu.
FtNews ha avuto il piacere di intervistare Michele Porcaro, giovanissimo promettente che ha sempre coltivato la passione per la scrittura, la civiltà, la storia e l'archeologia greca e romana e che ora, con l'entusiasmo che lo contraddistingue, ha deciso di cimentarsi anche nella regia.
Porcaro, che è anche giornalista pubblicista, ha illustrato l'avvincente storia del "Vaso più bello del mondo", soffermandosi su quanto Ovidio afferma nelle Metamorfosi in merito al rapimento di Europa, magistralmente descritto sul Cratere da Assteas qualche secolo prima.
Nel corso della nostra ricca conversazione, lo studioso ha parlato anche dei suoi due romanzi, La Prigione di Pietra (Lulu Editore, 2016) e La Lancia e la Croce (Arbor Sapientiae Editore, 2017), e del saggio THANATOS – La visione della morte nel mondo greco (Dielle Editore, 2017), un viaggio millenario, attraverso la letteratura, la mitologia, l’archeologia e la filosofia, alla scoperta della concezione greca della morte e dell’aldilà.
Porcaro ha accennato brevemente anche ai progetti che ha in cantiere e al saggio su Eracle che pubblicherà a breve con la casa editrice Dielle.
Nelle parole di questo appassionato divulgatore della cultura classica, l'esortazione a diventare degni eredi e custodi dell'inestimabile patrimonio lasciatoci dagli antichi e la profonda convinzione che anche nell'era della tecnologia è possibile costruire una società che tenga conto e valorizzi le nostre comuni radici greche e romane.

Mercoledì 13 novembre il Museo dell’Arte Classica della Sapienza ha ospitato la presentazione ufficiale del documentario ASSTEAS - Storia del Vaso più bello del mondo, da lei scritto e diretto, con la partecipazione di Vittorio Sgarbi. Come e con quali finalità è nato questo documentario? Dove è stato girato?
“ASSTEAS – Storia del Vaso più bello del mondo” nasce come un omaggio alle mie origini caudine, ma allo stesso tempo come tributo a un magnifico capolavoro dell’arte antica. Inizialmente doveva essere un reportage sulla valorizzazione culturale del Vaso, ma a un certo punto avevano abbracciato questo mio progetto così tante persone che ho voluto ragionare in grande e realizzare un documentario. Il docufilm racconta la storia del Vaso di Assteas, dalla sua creazione nella bottega del ceramista pestano Assteas fino alle indagini dei Carabinieri del Reparto Tutela del Patrimonio Culturale, passando per il ritrovamento fortuito in quel di Dugenta-Sant’Agata de’ Goti e l’arrivo illecito del Cratere al Getty Museum di Malibu. Le riprese del documentario sono state girate a Roma (dove io abito e dove ho avuto l’onore e il piacere di vedere per la prima volta il vaso, più precisamente alle Scuderie del Quirinale, alla mostra "Ovidio – Amori, miti e altre storie"), Cerveteri, Paestum, Montesarchio, nella Valle Caudina e in tante pittoresche e suggestive località. La resa del documentario è stata possibile grazie alla collaborazione di enti importanti, quali il Museo dell’Arte Classica dell’Università Sapienza, alcuni comuni caudini, il Museo Nazionale del Sannio Caudino, e di tante meravigliose personalità che hanno creduto nel progetto.

Qual è il "Vaso più bello del mondo" a cui si fa riferimento? Cosa c'è dietro alla bellezza del vaso in questione?
Diversi giornalisti e addirittura il MiBAC hanno assegnato l’epiteto di “vaso più bello del mondo” al Vaso di Assteas, che gli archeologi e gli studiosi chiamano, più precisamente, Cratere del Ratto di Europa. Infatti sulla decorazione principale è dipinta una scena che si basa sul mito del rapimento di Europa da parte del dio Zeus sotto forma di toro. Descrizioni artistiche a parte, dietro a questo vaso c’è una storia lunga ventiquattro secoli, un’avventura a metà tra archeologia, storia dell’arte, il poliziesco e il “giallo”. È una storia che comincia in una piccola bottega di Paestum e termina al Museo Nazionale del Sannio Caudino di Montesarchio, passando per le affollate sale del Getty Museum di Malibu, e che ha coinvolto mercanti d’arte, ricettatori, i Carabinieri del Reparto Tutela Patrimonio Culturale e autorità diplomatiche.

Cosa rende così speciale il Cratere del Ratto d'Europa?
E' possibile ripercorrere le tappe fondamentali della storia del Cratere? Cosa ci dicono le fonti antiche in merito a questo vaso e alla storia che vi è narrata?
Archeologicamente parlando, tutto quello che si può dire su questo vaso è scritto su questo vaso. Infatti, poco sotto la scena centrale, l’artista ha lasciato un ricordo di sé, incidendo la firma Assteas egraphe, ovvero “Lo ha dipinto Assteas”. Questo marchio, presente in pochissimi esemplari, ci fornisce delle informazioni importanti: prima di tutto, che Assteas ci teneva a essere riconosciuto come un maestro padrone dell’arte ceramica e non come un semplice artigiano; in secondo luogo, che per dipingere certe scene del mito, egli doveva avere una certa erudizione; e infine che la sua committenza doveva essere presumibilmente formata da nobili e cittadini benestanti, il fior fiore dell’aristocrazia pestana. Assteas ha voluto raccontare sull’argilla quello che Ovidio, qualche secolo dopo, narrerà nei versi delle Metamorfosi: il toro, dal manto bianco come la neve pura e intatta, sorvola le acque del mare trasportando sulla groppa la bellissima principessa fenicia Europa, le cui vesti e i cui capelli ondeggiano smossi dal vento. Assteas, tuttavia, non tratteggia le onde del mare, come di norma ci aspetteremmo, ma dà allo spettatore l’idea di un paesaggio marino dipingendo pesci e creature marine. Su degli infissi triangolari posti in alto ai lati, Assteas dipinge una serie di divinità che assistono alla scena, come per sottolineare la dimensione mitologica a cui appartiene la scena.
Sul retro, invece, vi è una scena di corteo bacchico a cui purtroppo si dedica pochissimo spazio, quando si parla di questo capolavoro: con il tirso e le uova (simbolo di rinascita nei culti misterici) tra le mani, Dioniso, dio non solo del vino, ma anche dell’estasi, del delirio orgiastico e di tutto ciò che è fuori dall’ordinario, guida una folla di Menadi (le cosiddette Baccanti) e Satiri in una processione cultuale. Tra le figure riconoscibili si intravedono Sileno e Pan, due personaggi legati alla divinità.

Cosa significa oggi parlare di Assteas?
Significa parlare di una storia di cui finora se ne è parlato poco e male. Una peculiarità che il documentario può vantare, grazie alla preziosissima collaborazione di Roberto Lai (il Luogotenente del Reparto TPC che ha guidato le operazioni di restituzione del cratere), è quella di raccontare tutta la storia del ritrovamento, del suo traffico clandestino e del suo ritorno in Italia così com’è andata. Ad esempio, su Internet tutti i giornali dicono che il Vaso di Assteas fu trovato a Sant’Agata de' Goti nel 1974 e che fu venduto in cambio di un milione di lire e un maiale. Ebbene, tutte queste informazioni sono imprecise e non del tutto corrette, se non inserite adeguatamente nel contesto. La fortuna che ho avuto è stata quella di iniziare a girare il documentario proprio poche settimane dopo la morte del “tombarolo” (in realtà un semplice contadino-operaio che ebbe una botta di fortuna!) che rinvenne il vaso, in modo tale che non vigesse più il segreto d’ufficio su molte informazioni che ho potuto invece documentare e raccontare.

Oltre ad essere laureato in Archeologia, è autore di saggi e romanzi storici sul mondo antico. Quando è nata la passione per la scrittura, la civiltà, la storia e l'archeologia greca e romana?
La passione per il “classico” è nata sui banchi di Liceo Classico e si è sviluppata su quelli dell’università. Lì, tra i corridoi della Sapienza, è nata una piena consapevolezza dell’infinita ricchezza che ci hanno lasciato gli antichi e mi sono imposto la missione di raccontarla, di diffonderla, di farla amare agli altri, ai “non addetti ai lavori”, anche solo un quarto di quanto la ami io. Perché quella classica è una cultura che non è morta o si è estinta, ma si è evoluta, pur lasciando le sue tracce nell’architettura, nelle arti, nel linguaggio e addirittura nei simboli che ogni giorno vediamo e nel nostro modo di vivere e di percepire il mondo intorno a noi. Sono gli antichi Greci, i Romani e gli Etruschi quei famosi giganti sulle cui spalle dobbiamo ergerci tutti noi!
Per quanto riguarda la scrittura, essa è mia compagna praticamente da quando ho imparato a tenere in mano una penna su un foglio. È il mio modo di esprimermi, di dare voce alla mia interiorità, ma soprattutto di raccontare e raccontare e raccontare. Perché raccontare significa tramandare, e tramandare significa mantenere viva la memoria, ovvero lasciare una testimonianza, un pezzo di ciascuno di noi.

Nel 2016 ha pubblicato il suo primo romanzo, intitolato La Prigione di Pietra (Lulu Editore), che ha ottenuto un premio come “Miglior Romanzo Storico” al Premio Letterario Nazionale di Poesia e Narrativa Urbe Parthenicum. Di cosa parla il romanzo? In quale epoca è ambientato?
Il romanzo è ambientato nel 415 a.C. Atene e Sparta hanno siglato una pace che ha momentaneamente sospeso la sanguinosa guerra del Peloponneso, il conflitto panellenico che aveva coinvolto tutte le maggiori pòleis e che aveva lasciato dietro di sé una lunga scia di caduti. Atene, con l’intenzione di espandere il proprio imperialismo al di fuori della Grecia, interviene in Sicilia nella guerra tra Siracusa e Segesta, presentandosi come alleata della seconda. Nella famosa spedizione ateniese in Sicilia vengono arruolati migliaia di opliti: tra di loro c’è Archippide, il protagonista del romanzo. Animato dalle leggende di Eracle, Achille, Perseo e degli eroi che si erano battuti nella guerra contro la Persia per la libertà di tutta la Grecia, il giovanissimo Archippide parte con il cuore pieno di sogni e ambizioni. Ma una volta sbarcato in Sicilia, l’oplita ateniese realizzerà che la guerra non è fatta solo di gloria e ricchi bottini, ma soprattutto di morte, sangue e distruzione. Lontano da casa, proverà sulla sua pelle gli orrori della guerra, fino a un tragico epilogo che il destino aveva già previsto per lui…
Nel 2017 ha pubblicato il romanzo La Lancia e la Croce (Arbor Sapientiae Editore). Dove è ambientato il romanzo? Quale tema affronta?
"La Lancia e la Croce" è ambientato nella Giudea del 30 d.C., durante l’impero di Tiberio. Lì il centurione Quintus Cassius Longinus viene inviato come capo di una vessillazione di truppe ausiliarie spedite a Gerusalemme come supporto del Praefectus Pontius Pilatus. I Giudei infatti non accettano di buon grado la dominazione romana, e la profezia di un “Re Unto” che libererà Israele e restaurerà il regno di David è il pretesto alla base di numerose e quotidiane sedizioni contro Roma. A dare problemi è soprattutto il partito degli Zeloti, fanatici sostenitori della legge ebraica che fomentano continue rivolte. Il centurione Longinus, mandato lontano da casa contro la sua volontà, è incaricato di sopprimere le continue sommosse organizzate dagli Zeloti. Ma il centurione teme che dietro a questo gruppo di ribelli ci sia un predicatore di cui tutti parlano in ogni angolo della Giudea: un misterioso maestro di nome Yehoshua Bar Yosef, quell’uomo che la storia ricorderà come Gesù Cristo.
Il tema centrale del romanzo è l’incontro storico tra la cultura giudaico-cristiana e quella greco-romana, le due basi che costituiscono la colonna portante dell’attuale cultura occidentale. Inoltre, in sede di stesura è stato affascinante ricostruire, oltre alle usanze sociali e religiose dei Giudei e le usanze civili e militari d’epoca alto imperiale, la figura storica (e ribadisco “storica”) di Gesù, ed è stato interessante immaginare cosa potessero pensare i Romani di lui. Ho voluto scrivere questo libro in modo lineare e semplice, lasciando tutto lo spazio al lettore, se preferisce scegliere la parte spirituale del libro che parla alla sensibilità di ciascuno di noi e al sentimento del divino che può albergare o meno nei nostri cuori, oppure lasciarsi avvincere dalle indicazioni latine e farsi trasportare in mezzo ad un esercito la cui organizzazione e disciplina affascinano ancora oggi.

Quanto è frutto di fantasia nei suoi romanzi e quanto, invece, è il risultato di scrupolosa ricostruzione storica? A quali fonti ha attinto per la stesura di questi lavori?
Volendo privilegiare l’aspetto storico dei miei romanzi, non lascio eccessivo spazio alla fantasia. Nei miei romanzi è presente una piccola componente autobiografica: Archippide, il protagonista del primo libro, l’ho immaginato come un giovane pieno di sogni e speranze come me, mentre il centurione Longinus, sprezzante, freddo, cinico e calcolatore, rappresenta esattamente tutto ciò che non vorrei mai essere. Le fonti da cui parto sono principalmente storiografiche, privilegiando prima di tutto le fonti dell’epoca, che poi mi occupo di analizzare negli aspetti filologici e storici con l’ausilio della moderna bibliografia accademica. Nel caso de La prigione di pietra, ad esempio, la fonte da cui sono partito è stata La guerra del Peloponneso di Tucidide, il quale racconta e analizza la Spedizione in Sicilia nel VI libro, per poi passare a opere di storici moderni, quali Sebastiano Amato e Lorenzo Braccesi. Nel caso de La Lancia e la Croce, invece, sono partito dalle fonti evangeliche (epurandole da tutti gli elementi storicamente poco plausibili) e giudaiche per ricreare l’atmosfera suggestiva della Giudea del I secolo d. C. e ho integrato con letture di storia militare, in modo tale da ricostruire la vita di un centurione romano in una provincia remota e “secondaria” dell’Impero Romano.

Sempre nel 2017 ha pubblicato il suo primo saggio, THANATOS – La visione della morte nel mondo greco (Dielle Editore), un viaggio millenario, attraverso la letteratura, la mitologia, l’archeologia e la filosofia, alla scoperta della morte nella visione dei Greci. Che concezione avevano i Greci della morte e dell’aldilà? Ammettevano l'esistenza di una vita ultraterrena?
Fin dalla notte dei tempi, l’uomo ha sempre dovuto confrontarsi con il tema della morte, e nel corso della stesura di questo saggio è stato bello approfondire come i Greci si rapportavano a temi come il suicidio, la vecchiaia e l’esistenza ultraterrena. Quest’ultimo aspetto è forse il più interessante, se lo rapportiamo alla nostra mentalità: mentre noi, influenzati dalla dottrina cristiana, tendiamo a ragionare con una logica che si può banalmente riassumere con le dicotomie “buoni-Paradiso” e “cattivi-Inferno”, per i Greci dopo la vita terrena c’era solo il grigiore dell’Ade, una landa arida e sterile, dove le ombre sono solo dei duplicati delle anime che erano in vita. Simbolico, in questo senso, è il famoso passo della Nekyia dell’Odissea, in cui Achille confessa ad Odisseo che preferirebbe vivere come bracciante di un poveraccio piuttosto che trascorrere l’eternità come il più celebre dei defunti. Tuttavia, nel complesso, i Greci non avevano una visione univoca della morte, ma nel corso delle epoche si è sviluppata una pluralità di correnti di pensiero e di filosofie diverse tra di loro, tutte con una loro visione della morte. Prenderò come esempio una contrapposizione letteraria: se da una parte un Epicuro sostiene che la morte “non è nulla per noi”, d’altro canto Ferete, uno dei personaggi dell’Alcesti di Euripide, afferma nella tragedia che non vuole morire perché “troppo cara è la luce del giorno".

A quali fonti ha attinto per la stesura di questo saggio? Premettendo che questo saggio per me è stato un “banco di prova” per testare le mie capacità scrittorie all’infuori del genere del romanzo, lo studio delle fonti è stato fondamentale nella stesura di questo saggio. Io credo che le fonti antiche siano le prime da consultare, perché permettono di poter osservare la società antica attraverso una prospettiva emica. Ovviamente, le fonti antiche vanno affiancate ad una bibliografia critica e analitica. Tra gli autori che hanno dedicato numerosi studi sul tema della morte nella società antica, citerei l’antropologo Jean Pierre Vernant e l’archeologo Nicola Laneri, ma se ne possono citare almeno un centinaio.

Attualmente sta lavorando a qualche progetto? Ci sveli in anteprima qualche dettaglio...
In cantiere ho diversi progetti; ci sono tante storie che voglio raccontare e che meritano di essere raccontate: il Ciclo Troiano, la saga dei Sette contro Tebe, la controversa morte di Alessandro Magno, la vita di Orazio e Virgilio a cavallo tra Repubblica e Impero. Tuttavia, tutte queste idee ancora devono trovare un sostegno editoriale per poter vedere la luce. Ma ci sto lavorando…

Quando uscirà e quale argomento affronterà il suo prossimo libro?
In uscita è previsto un saggio, che pubblicherò con Dielle, su Eracle, un grande eroe di cui ho l’onore di raccontare non solo la storia e le imprese, ma anche l’impatto e l’influenza che la sua figura ebbe nella letteratura, nell’arte, nella cultura materiale e nella società greca, etrusca e romana. Ho voluto raccontare la vita di un eroe così prodigioso, ma al contempo anche così fragile e umano, complesso nella sua ambivalenza e pieno di tutte quelle sfumature che contraddistinguono l’esistenza umana.

Quale messaggio vorrebbe trasmettere ai suoi lettori e a tutti coloro che avranno l'occasione di vedere il suo documentario?
Il messaggio che voglio trasmettere si può riassumere in questa frase del poeta Novalis: L'antichità non ci è data in consegna di per sé, non è lì a portata di mano; al contrario, tocca proprio a noi saperla evocare. A questa massima io aggiungo: spesso dimentichiamo che gli antichi ci hanno lasciato un patrimonio materiale e immateriale inimmaginabile, di cui noi purtroppo siamo inconsapevoli eredi. È difficile parlare di Greci, Romani, statue, templi, poesia e ceramica nell’era degli Smartphone e di Facebook. Eppure, io dico che un presente e un futuro che hanno tra le basi le nostre radici culturali classiche sono più che possibili.
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