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Esordi letterari di Grazia Deledda e della Sardegna di oggi a cura di N. De Giovanni e M.G. Petrini

domenica, 28 giugno 2020 07:34

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Fabrizio Federici
Nel 2021 ricorreranno 150 anni dalla nascita (Nuoro,1871) di Grazia Deledda, l'autrice di "Canne al vento" ed "Elias Portolu", Nobel per la Letteratura 1926, scrittrice poliedrica che tanti critici hanno cercato inutilmente d’inquadrare nei più vari filoni letterari, dal verismo (ebbe, in effetti, le lodi di Luigi Capuana, per il suo romanzo del 1896 "La via del male", e di Giovanni Verga) al regionalismo, al decadentismo, all'esistenzialismo (dato anche il suo interesse per Dostoewskij e Tolstoi). Neria De Giovanni, scrittrice e giornalista, presidente dell'Associazione Internazionale Critici Letterari, organizzatrice del "Premio Nazionale Alghero Donna di Letteratura e Giornalismo", ha pubblicato, ultimamente, un altro saggio sulla Deledda (cui ha dedicato, in compesso, 15 libri): "Grazia Deledda- Corrispondenze giovanili" (Nemapress ed., Alghero,e. 15,00).
Saggio in cui l'Autrice evidenzia la falsità del clichè che vorrebbe la Deledda "scrittrice per caso", esordita nella letteratura per una serie di circostanze fortuite: in realtà, la scrittrice nuorese inizia a scrivere a soli 17 anni, pubblicando alcuni racconti, “Sangue sardo” e "Remigia Helder", sulla rivista romana "L'ultima moda", diretta da Epaminonda Provaglio. Sulla stessa testata sarà poi pubblicato, a puntate, il romanzo "Memorie di Fernanda", mentre nel 1890 uscirà sempre a puntate, sul quotidiano di Cagliari "L'avvenire della Sardegna", a firma Ilia de Saint Ismail, il romanzo "Stella d'Oriente"; e a Milano, presso l'editore Trevisini, "Nell'azzurro", libro di novelle per l'infanzia.
La De Giovanni ricostruisce attentamente, attraverso appunto le sue corrispondenze giovanili, gli esordi letterari e i primi amori della Deledda; a lungo combattuta - un po' come già Leopardi, diremmo - tra l'amore per la sua terra natale e l'uggia quotidiana provata nel vincere in un "borgo selvaggio" che non può che andarle sempre più stretto.
Nel 1892 - vero anno chiave della storia d'Italia, che vede il primo governo Giolitti, la rivolta popolare dei fasci siciliani, lo scandalo della Banca Romana e la nascita, al congresso di Genova, in agosto, del Partito dei Lavoratori Italiani, il futuro PSI - la Deledda pubblica sul quindicinale "La vita sarda" la sua prima recensione, riguardante il romanzo "Vigliaccherie femminili", del giornalista e scrittore Giulio Cesari, nipote di quel Padre Antonio Cesari in passato protagonista di polemiche "cruscanti" sul purismo nella lingua italiana, ed amico di Italo Svevo. E' il primo passo di un viaggio che porterà gradualmente Grazia a contatto con l’ambiente cosmopolita e poliedrico della mitteleuropea Trieste di fine '800 - primi decenni del '900: la Trieste, in definitiva, di Svevo, Umberto Saba, Scipio Slataper, del gallerista e critico d'arte Leo Castelli e di un certo James Joyce, agli inizi della sua parabola…
Nel libro, Neria de Giovanni ha potuto pubblicare - vera "chicca" filologica - la riproduzione dell'originale (4 fogli scritti fronte/retro) della recensione deleddiana del romanzo di Cesari, donatole, nel 2004, dall'avvocato Pasquale Giordano, professionista romano e collezionista d'arte; che l’aveva avuta, a sua volta, dal prozio Arturo Giordano, a suo tempo in corrispondenza con Grazia Deledda.
Sempre all’aspra, quanto nobile, terra di Sardegna, appartiene un’altra autrice che ha pubblicato con Nemapress: Maria Teresa Petrini, medico, docente di geriatria all’Università di Cagliari, membro dell’AMSI, Associazione Medici Scrittori Italiani, nell’XI legislatura eletta consigliere regionale e poi Presidente della commissione Cultura del Consiglio regionale sardo. “La magia dei ricordi nascosti” (2019, e 1899). Un romanzo che trasporta invece il lettore nella Sardegna di oggi, sospesa tra sviluppo tecnologico e fascino del suo millenario passato, natura straordinaria e spinte indipendentiste: la Sardegna di Gavino Ledda, delle miniere del Sulcis e di... Graziano Mesina. Sì, perché al centro del romanzo c’è la vicenda di un sequestro di persona che subisce Anna Marchi, medico originario di un paesino della Barbagia, improvvisamente rapita da probabili professionisti per torbidi interessi politici. In uno scenario da film, con tecnica appunto cinematografica, la Petrini narra le peripezie di Anna Marchi (suo possibile “alter ego” diremmo), indulgendo a un joyciano ”giocare a rimpiattino” con sogni e ricordi.
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