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Rosario Pesce
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Una vittoria non puň che rendere felici coloro che la vivono in prima persona, come gli atleti, ma anche i tifosi, che sono gli angeli custodi di chi compie lo sforzo fisico.
Č questo il bello del calcio, come di tutti gli sport di squadra, che ovviamente muovono gli interessi di milioni di supporters, come nel caso del calcio in Italia o del rugby in Francia o del basket negli Stati Uniti d’America.
In tal senso, lo sport č un fenomeno sociale, perché ineluttabilmente impegna ed interessa una platea molto piů ampia di quella che realizza la performance sul campo da gioco.
L’Italia, per sua definizione, č il Paese in cui ogni cittadino, finanche quello che non conosce il calcio in modo approfondito, si sente Mister della nazionale ovvero di questa o di quella squadra di club.
Ma, č altrettanto ovvio che un simile fenomeno non puň che essere auspicabile per chi interpreta lo sport come un fatto - meramente - aziendale: se non ci sono tifosi entusiasti e motivati, non ci sono clienti e, quindi, non c’č mercato.
Il nostro Paese, finanche in anni di crisi come gli ultimi, č stato sempre protagonista in ambito sportivo: dai giochi di squadra a quelli individuali, l’Italia si č classificata nelle prime posizioni dei tornei piů importanti al mondo, a dimostrazione che la cultura dello sport non č, affatto, irrilevante.
In tal senso, non si puň che auspicare la crescita ulteriore del movimento nazionale, ben sapendo che questo č la principale vetrina del “made in Italy”, molto di piů di taluni settori in crisi dell’industria.
Forse, non saremo tutti campioni, ma certo č che la felicitŕ, che trasmette un successo sportivo, non puň che essere volano di uno stato di serenitŕ, che fa bene ad una nazione intera, che ha bisogno di boccate di ossigeno per acquisire la necessaria autostima.
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