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Rita Farricelli
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Sono vedova da diversi anni e titolare di pensione di reversibilità e di un mio reddito in quanto docente in servizio presso MIUR.
Confrontando i miei 730 a partire dal 2011, ho colto una strana anomalia: Più il reddito personale è alto e più bassi sono i redditi complessivi annuali che percepisco!
L'articolo 1, comma 41, della legge n. 335/1995 dispone che al coniuge superstite, in assenza di figli aventi diritto, spetta una quota pari al 60% (aliquota di reversibilità) della pensione già liquidata o che sarebbe spettata all’assicurato. Tuttavia tale aliquota è cumulabile con i redditi del beneficiario, nei limiti della tabella F della legge n. 335/1995.
La tabella F stabilisce che se il reddito del beneficiario è superiore a 3 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, calcolato in misura pari a 13 volte l'importo in vigore al 1° gennaio, la percentuale di cumulabilità è pari al 75% del trattamento di reversibilità; se il reddito è superiore a 4 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, la percentuale di cumulabilità è pari al 60% del trattamento di reversibilità; se il reddito, invece, è superiore a 5 volte il suddetto trattamento minimo annuo, la percentuale di cumulabilità è pari al 50% del trattamento di reversibilità.
La norma, in altre parole, pur penalizzando i redditi più alti fa sì che, in ogni caso, il cumulo dei redditi personali con la pensione ai superstiti ridotta non sia mai inferiore a quello delle fasce precedenti e ciò avviene anche grazie alla clausola di salvaguardia.
Il legislatore nel rispetto di un principio informato a criteri di progressività e di uguaglianza sostanziale e formale, ha inteso tutelare comunque coloro che producono redditi più alti (tra l’altro, sottoposti anche a tassazioni più elevate) prevedendo un sistema ispirato alla progressività e proporzionalità del trattamento pensionistico tra gli aventi diritto (clausola di salvaguardia).
Invece l’INPS elude tale corollario e, come nel mio caso, fa in modo che chi ha un reddito personale diretto più elevato, percepisce complessivamente redditi inferiori di chi ha redditi personali diretti più bassi, alla faccia dell’uguaglianza e della Legge 335!
La tredicesima anziché essere assoggettata alla riduzione della tabella F viene liquidata in una somma corrispondente alla pensione mensile ridotta. Il cedolino che in base al principio di trasparenza dell’attività amministrativa dovrebbe riportare in chiaro tutte le somme oggetto del trattamento, stranamente a riguardo non spiega nulla. Il beneficiario del trattamento si vede decurtare dalla tredicesima una somma senza sapere a che titolo e senza che nessuno all’INPS sia in grado di spiegare tale omissione.
I conti non tornano e mancano importi anche considerevoli la cui assenza non viene indicata in nessun modo.
Ma la tredicesima è utilizzata dall’Ente anche come jolly per il calcolo della clausola di salvaguardia: è aggiunta alla reversibilità rideterminata per cumulo e diventa parte integrante nel raffronto con la fascia precedente per poi scomparire nell’importo complessivo spettante.
Sembra un’Arte di alta Alchimia, se non fosse a danno di persone che già subiscono una pesante decurtazione del reddito percepito.
E’ un vero “gioco” di prestigio!!!!!!
Si rinvia al PDF allegato per il calcolo della clausola di salvaguardia.
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