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La morte di un Socialista

mercoledì, 28 giugno 2017 13:26

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Rosario Pesce
La morte di Tamburrano ha colpito molto quanti, negli anni scorsi, hanno seguito da vicino le sorti del Partito Socialista, visto che il professore di origini pugliesi è stato uno degli uomini più vicini a Nenni, di cui ha diretto la Fondazione fino al 2015.
È stato un intellettuale sempre autonomo, nonostante la sua appartenenza politica dichiarata e nonostante la famiglia di appartenenza, in piena sintonia con il suo spirito critico.
Non è un caso se, nel corso della lunga storia del Novecento, le sue posizioni autonomiste lo hanno portato ad essere, dapprima, uno dei consiglieri di riferimento di Nenni e, poi, con l’avvento di Bettino Craxi, un intellettuale mai del tutto organico alle volontà della Segreteria di Via del Corso.
Parlare di Tamburrano ci riporta, ineluttabilmente, ad una stagione della politica che, purtroppo, non esiste più, visto che la storia, che egli ha contribuito a scrivere, appartiene solo alla dimensione di quanti ne serbano una memoria privata o di studi.
Egli ha dovuto subire la prepotenza della cultura comunista, che nel nostro Paese è sempre stata dominante rispetto a quella socialista e riformatrice, visto che le dimensioni elettorali dei due partiti, Partito Comunista e Partito Socialista, determinavano anche le relative posizioni di potere all’interno del mondo dell’Accademia.
Non è un caso se i Socialisti, per tutta la Prima Repubblica, hanno subito il peso maggioritario della cultura marxista che, in particolare nelle Università, era nettamente soverchiante rispetto al pensiero riformatore.
Questa posizione di privilegio delle idee comuniste ha fatto sì che intellettuali, come Tamburrano, rappresentassero una minoranza all’interno del mondo dell’intellighenzia, inevitabilmente dominata dagli eredi (non sempre fedeli) del pensiero gramsciano.
Con la morte di Tamburrano, dunque si può tornare a parlare della questione socialista, visto che le vicende di Tangentopoli hanno messo fine ad un’esperienza, che ha arricchito, in termini politici e culturali, gli Italiani, visti i contributi che sono derivati da quell’area alla crescita civile del Paese intero, negli anni dei Governi di Centro-Sinistra.
Purtroppo, a distanza di più di venti anni dall’implosione del Partito craxiano, il vuoto lasciato dai Socialisti non è stato colmato da nessun’altra forza politica, neanche dal PD, le cui difficoltà odierne sono il frutto, invero, di una transizione degli ex-democristiani e degli ex-comunisti sul terreno della Socialdemocrazia in assenza di autentici socialdemocratici.
Quel gap, perciò, continua a pesare – e non poco – sulle sorti del Paese e del destino delle forze progressiste, determinando una vulnerabilità dell’intero sistema attuale dei partiti, che è esposto al venticello assai pericoloso della facile demagogia e del populismo dell’estrema Destra, come della Sinistra.
Forse, liquidare il Partito Socialista, a causa degli errori di qualche ladro, è stato un errore, che l’Italia pagherà per decenni?
Forse, è venuto meno un punto di equilibrio del sistema istituzionale, che sapeva essere il giusto fattore di mediazione fra le esigenze della governabilità e quelle del cambiamento, in senso riformista, dello Stato?
Certo è che la lezione, politologica e storiografica, di Tamburrano va rivista, riletta ed approfondita, perché altrimenti non saremmo mai in grado di leggere il presente e di prefigurare un futuro possibile per le nostre istituzioni repubblicane.
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