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Se D’Alema riabilita Craxi…

sabato, 30 settembre 2017 21:20

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Rosario Pesce
Nei giorni scorsi, D’Alema, rilasciando un’intervista al Corriere, ha di fatto riabilitato Bettino Craxi, affermando che il leader socialista era un uomo di Sinistra, contrariamente a Renzi che fingerebbe di esserlo, pur non essendolo.
È evidente che le riabilitazioni postume servono a poco, se non per gli storici, che hanno materia per dibattere.
Nessuno può dimenticare che gli ex-Comunisti sono stati i peggiori nemici di Craxi, il quale morì lontano dall’Italia, in quanto la Procura di Milano non accettò le condizioni, che egli chiese per il suo rientro in Italia.
Non è un caso se D’Alema, nella medesima intervista, ha dichiarato di aver negoziato quel rientro con i vertici della Procura milanese, ma di aver fallito nel suo tentativo per le asprezze dei giudici nei confronti del leader del partito del Garofano.
Siamo convinti che le patenti di perbenismo politico servono a poco e, molto spesso, sono meramente funzionali alle esigenze del tempo.
Ovviamente, D’Alema, che da qualche anno combatte contro Renzi con la stessa intensità con la quale si contrappose a Craxi, non può che dare nuovo valore all’esperienza di chi, pur essendo stato suo avversario in passato, ha avuto comunque ben altro spessore, politico ed ideale, rispetto al leader odierno del PD.
Ma, al di là dei giudizi, forse andrebbe fatta una riflessione più profonda su cosa fu Tangentopoli e sugli effetti nefasti, che questa ha prodotto non solo a carico dei partiti italiani, ma dell’intero sistema istituzionale dell’epoca.
È indubbio che la fine di Craxi, morto lontano dall’Italia nelle condizioni formali di una persona sottrattasi ai rigori della legge, lancia un’ombra sulla sua figura, che preferiremmo ricordare nelle vesti di statista e non di un condannato fuggito agli arresti.
In quella vicenda, infatti, si nasconde il dramma non solo di una persona, ma di un intero Paese.
In quegli anni, sono stati messi alla berlina tutti i leaders del nostro Paese, con accuse molto gravi, come quelle pronunciate verso Craxi o, peggio ancora, nei riguardi di Andreotti, processato addirittura per mafia.
Cosa ci rimane, quindi?
Ben poco, se non la delegittimazione dei partiti storici del Novecento, che vennero cancellati con le inchieste penali, che riguardavano i loro vertici.
Ma, da quel momento in poi, nonostante il conato moralizzatore, che coinvolse tutta la pubblica opinione nazionale, non sembra che la condizione complessiva del Paese sia migliorata.
Anzi, forse è addirittura peggiorata, non solo perché non esistono più i partiti e gli organismi intermedi, che sono necessari per la vita di un Paese democratico, ma perché la coscienza morale non ne ha tratto alcun valido insegnamento, se è vero che la corruzione e la concussione non sono state cancellate dalla vita istituzionale del Paese.
Ed, allora, D’Alema, che offre patenti di legittimità a destra ed a sinistra, dovrebbe chiedersi perché la generazione politica, che è seguita a quella di Craxi, cioè la sua, abbia fallito in modo ancora più evidente di quella che l’ha preceduta, a tal punto che, se egli oggi riabilita Craxi per condannare Renzi, ci sono molti che riabilitano Craxi per condannare lui e quanti, come lui, hanno governato il Paese dopo il 1994, con esiti ben peggiori del Pentapartito e dei partiti della Prima Repubblica.
Purtroppo, in una cornice di impazzimento generale, nessuno più è in grado di fornire una riflessione seria sui fatti dell’ultimo trentennio, che meriterebbero invece un ragionamento molto attento e non strumentale alle ragioni di opportunità della mera contingenza.
O forse, fra qualche anno, finanche Renzi riabiliterà Craxi, pur di fare una “deminutio” al suo avversario di sempre?
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