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Un calcio alla violenza

domenica, 14 gennaio 2018 11:57

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Rosario Pesce
L’ultimo episodio, verificatosi in Veneto, che ha visto protagonisti due minori, che hanno dato fuoco ad un clochard di origini africane dimostra bene come il tumore della violenza dalla nostra società sia ben lungi dall’essere eradicato.
In particolare fra i giovani, purtroppo, la violenza è una costante, per cui si assiste inermi ad una serie di episodi che inquietano non poco.
Possono dei giovani, a volte perfino di buona famiglia, creare una violenza sistematica, che è il peggiore nemico della società e del vivere insieme?
La scuola, gli enti preposti all’educazione, la Chiesa, le organizzazioni associative sono, molto spesso, impegnate sul fronte della prevenzione, ma non sempre i risultati sono all’altezza dell’impegno di coloro che, ogni giorno, tentano di educare i giovani al rispetto del proprio simile e del diverso.
Forse, la famiglia, come prima ed essenziale cellula della società, ha sbagliato negli ultimi decenni ad essere troppo clemente verso i propri pargoletti?
Peraltro, la violenza di questi ultimi anni presenta un’ulteriore aggravante rispetto a quella di qualche decennio fa.
Negli anni ’70, in particolare, essa era giustificata da una matrice di natura politica, per cui le ideologie erano un alibi molto potente dietro al quale si nascondevano i conati violenti della generazione di adolescenti di allora.
Oggi, invece, cadute le ideologie, la violenza non ha più alibi e, come nel caso dell’ultimo episodio della morte del clochard africano, essa nasce dalla banalità, dall’ignoranza e dal sadismo puro.
Non è un caso se torna, ciclicamente, nella storia degli uomini il concetto di banalità.
Si sa bene che i gerarchi nazisti, dopo l’apertura dei campi di concentramento e l’inizio del processo di Norimberga, dovendo giustificare i fatti criminali avvenuti in quei luoghi, semplicemente dichiaravano che eseguivano degli ordini superiori, ai quali non potevano sottrarsi, come se l’uccisione di un uomo innocente possa rispondere ad una mera logica di esecuzione di comandi da parte di entità e poteri superiori.
La filosofa Arendt, opportunamente, inventò la categoria della “banalità”, che molto bene descrive il comportamento di chi si sentiva deresponsabilizzato rispetto ai crimini commessi, semplicemente in ossequio ad una dinamica di tipo gerarchico-esecutivo.
Ben più “banale”, quindi, appare la logica dei comportamenti degli adolescenti violenti di oggi, che rispondono al comando non di superiori gerarchici, ma della propria “non-coscienza”, quella che detta loro comportamenti rispetto ai quali nessun freno inibitore è in grado di imporre uno stop provvidenziale o un’inversione di tendenza.
Sono i nostri figli, i nostri amici, i nostri alunni quelli che possono cadere in simili vortici: li possiamo salvare, prima che sia troppo tardi per l’intera società o, forse, dovremo celebrare un nuovo processo di Norimberga contro tutti gli educatori che, purtroppo, hanno fallito miseramente la loro missione?
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