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Un anniversario da non dimenticare

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sabato, 20 gennaio 2018 22:13

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Rosario Pesce
Diciotto anni fa moriva Bettino Craxi e, con lui idealmente, la Prima Repubblica così come questa era stata agognata dal leader socialista e non era stata, concretamente, invece messa in essere visti gli esiti del biennio 1992/94, che conosciamo.
Non intendiamo entrare nella disputa fra quanti lo considerano un brigante e quanti lo considerano un santo; è evidente che ciascuno di noi vanta i propri difetti, che vanno analizzati nel modo più obiettivo possibile, riconoscendo i meriti, laddove questi sono esistiti per davvero.
È chiaro che la figura, in particolare, di Craxi non può non essere, ancora oggi, al centro del dibattito, perché si tratta di un leader che ha elaborato una visione della politica e delle istituzioni, che è poi fallita per le vicende giudiziarie ben note, ma rimane la sua – pur sempre – l’ultima visione organica delle istituzioni definita dal nostro ceto politico.
Egli spese molto del suo tempo e delle sue energie intorno alla grande riforma dello Stato, credendo che fosse possibile trasformare il parlamentarismo della Prima Repubblica in un modello più avanzato che prevedesse, di fatto, una svolta in senso semi-presidenzialistico delle nostre istituzioni.
Ma, visto il fallimento del suo progetto riformatore, egli non può che rimanere alla storia come la personalità che ha fatto uscire, compiutamente, il Paese dalle paludi del Compromesso Storico, visto che suo interesse era quello di costruire una democrazia dell’alternanza, che dovesse prevedere una rigorosa contrapposizione fra conservatori-democristiani e socialisti-progressisti, una volta che i Comunisti avessero compreso che, per il Comunismo, non vi era spazio nel nostro Paese e che bisognasse costruire un fronte unico riformista anti-democristiano.
Ma, una simile prospettiva non si è mai concretizzata, perché i Comunisti hanno compreso l’importanza di essere socialisti riformisti quando il PSI era, già, in fase di progressiva liquidazione, per cui l’opzione di un’area comune fra socialisti ed ex-comunisti è sempre rimasta nelle menti di quanti vi hanno creduto, non potendo darvi seguito.
Peraltro, la caduta del Muro di Berlino non solo fece comprendere quanto desueto fosse il PCI, ma fece apparire vecchi, finanche, i partiti – come la DC ed il PSI – che, da posizioni diverse, avevano combattuto il Comunismo, determinando nel nostro Paese la grande stagione del riformismo del Centro-Sinistra.
Paradossalmente, si sono spenti prima gli anti-comunisti e poi i Comunisti in Italia, nonostante nel resto dell’Europa il Comunismo fosse finito, già, da tempo.
Una siffatta discrasia portò alla sconfitta il progetto politico di Craxi, che non capì che il suo PSI aveva fatto parte di una storia che stava per essere liquidata in tronco, insieme a quella altrettanto nobile dell’altro partito che aveva assicurato la governabilità nel nostro Paese, la DC.
Poi, discutibile invero fu il suo comportamento nel biennio 1992/94, quando nel momento più acuto di Tangentopoli, sembrò a molti che egli stesso facesse il tifo per la liquidazione del PSI, dal momento che non poteva più esserne il Capo.
Infatti, se quel partito, sia pure in forme diverse e con numeri molto più ridotti rispetto all’epoca del craxismo imperante, avesse avuto altri aneliti di vita, con una diversa leadership, molto probabilmente la storia del Paese sarebbe cambiata, ma invero la storia non è un nastro che può essere riavvolto e ricondotto secondo una direttrice diversa da quella, invece, intrapresa.
È passato un ventennio da quegli eventi: si è consumata l’esperienza di Governo della classe dirigente della cosiddetta Seconda Repubblica ed, oggi, siamo alla vigilia di un voto, quello del prossimo 4 marzo, che può disegnare scenari ancora nuovi, così come fecero le elezioni del 1994.
In questo contesto, è certamente utile tornare alle vicende terminali della Prima Repubblica, in particolare perché risulta evidente l’assenza di un ceto politico legittimato da un ampio consenso da parte della pubblica opinione.
Forse, gli errori del passato saranno utili a non commetterne dei nuovi ovvero da quei fatti in poi, di cui fu protagonista Craxi, l’Italia ha iniziato a vivere un declino da cui non sarà più possibile riprendersi?
In simili casi, la storia dovrebbe mostrarsi quale effettiva “magistra vitae”, almeno per quanti hanno intelligenza e memoria per non dimenticare.
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20/01/2018 23:07:01
da: Giordano a: info@ftnews.it
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Messaggio: Non credo che nel 92 Craxi non avesse capito la fine del suo pensiero,quello di Craxi è ancora valido.Per me fu una congiura della Magistratura ed a tutt'oggi non ho motivo per dubitarne.
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