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La morte di un calciatore

domenica, 04 marzo 2018 19:10

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La morte di Giacinto di Aleksandr Aleksandroviè Kiselëv (1838 – 1911)
Rosario Pesce
La morte di un calciatore, nel pieno della sua carriera, è un evento raro, che non può non colpire la pubblica opinione.
È il caso ultimo di Astori, il capitano della Fiorentina, calciatore arrivato in Nazionale di indubbie doti tecniche ed umane.
Certo, ci si chiede sempre l’eventuale relazione fra la professione svolta e l’evento luttuoso occorso, ma è chiaro che queste sono domande destinate a rimanere insolute.
È, piuttosto, importante sottolineare la reazione di sgomento di molti milioni di Italiani, una volta diffusa la notizia, a dimostrazione del fatto che il calcio è, per davvero, un fenomeno sociale rilevante.
Nel mondo greco, si credeva che chi moriva giovane fosse beato agli Dei, così come scrisse Teognide.
È evidente che, nella nostra società, i valori sono diversi, per cui la morte di un giovane è vista, giustamente, come una disgrazia e non come il segno della beatitudine divina.
Ma, non solo il calcio offre episodi di morti precoci.
Anche in altri ambiti professionali, si registrano sovente morti che sono, in qualche modo, ricollegabili alla professione svolta e che meritano, ovviamente, il medesimo sentimento di compartecipazione umana che sorge, quando il lutto colpisce un “eroe” del calcio.
In qualche misura, nonostante millenni di riflessione teologica e filosofica, l’Uomo non ha ancora risolto il suo rapporto con il concetto stesso di morte, per cui, nonostante si creda per lo più nella trascendenza, il momento del distacco dalle cose terrene costituisce, pur sempre, uno shock di immane portata.
Forse, per effetto della nostra cultura, non siamo riusciti ancora a superare il trauma costituito dal venir meno di una persona cara?
È, forse, necessario tornare a credere in un sentimento autentico di trascendenza, che possa alleviare la pena per la morte, così come per le difficoltà concrete della vita?
O, forse, l‘Uomo si abbandonerà sempre più ad una cultura edonistica che non riuscirà mai a catechizzare il dramma del distacco, quando cessa la vita?
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