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La morte di una personalità scomoda

venerdì, 16 marzo 2018 16:24

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Casa natale di Aldo Moro
Rosario Pesce
Quella di Aldo Moro fu, certo, la morte di una personalità scomoda per un pezzo importante di classe dirigente del Paese, visto che con l’eccidio del Presidente della Democrazia Cristiana, di fatto, si chiuse la stagione del Compromesso Storico, che aveva segnato, in particolare, il biennio 1976/78.
Quella morte ha, poi, prodotto effetti che, almeno in parte, tuttora si avvertono: la delegittimazione dei partiti, che non furono capaci di far uscire vivo Moro dalla prigione delle BR, è iniziata nel 1978, quindi molti anni prima del 1992, quando scoppiò Tangentopoli.
In particolare, la morte di Moro segnò la morte del suo partito, cioè della Democrazia Cristiana che, sposando la strategia della fermezza insieme ai Comunisti, condannò il proprio Presidente a morire per mano dei Brigatisti, che furono – in modo consapevole o meno – lo strumento attraverso cui, molto probabilmente, si concretizzò un disegno nato fuori dai confini italiani.
Era ben noto che sia i Russi, che gli Statunitensi – anche se per opposte ragioni – non vedevano di buon occhio l’ingresso dei Comunisti nella maggioranza di Governo, visto che, per effetto di tale strategia, i Comunisti avrebbero potuto approdare verso i lidi della socialdemocrazia molti anni prima della caduta del Muro di Berlino.
Peraltro, era a tutti noto che l’entrata del partito di Berlinguer nella maggioranza parlamentare, che doveva reggere il Governo Andreotti, avrebbe determinato il mutamento della nostra politica estera ed avrebbe visto l’avvicinamento ulteriore dell’Italia alle ragioni dei Paesi arabi nel conflitto con Israele.
Per tutte queste ragioni, era chiaro che la condanna a morte per Moro era, già, segnata quando egli fece ingresso nella prigionia delle BR il 16 marzo del 1978, per cui l’esito successivo del 9 maggio fu la conclusione ovvia di un disegno politico scritto a monte con molto cinismo.
Finanche il giudice Imposimato, che fu incaricato di istruire le indagini sul caso Moro, commise l’errore di ipotizzare che i mandanti di quella morte fossero solo nel nostro Paese, salvo poi rendersi conto, nel corso degli anni, che la gestione di quei 55 giorni di prigionia di Moro fu condotta da soggettività ben lontane dall’Italia.
In quel momento storico, solo i Socialisti, che pure erano animati dalla volontà di distinguersi da Democristiani e Comunisti, furono a favore della linea umanitaria, che avrebbe dovuto prevedere lo scambio di prigionieri con le BR e, quindi, avrebbe potuto restituire Moro vivo.
Ma, era evidente che la gestione politica interna fu a carico della DC e del PCI, che non seppero svincolarsi dai loro rispettivi sponsor internazionali, per cui – loro malgrado – determinarono la morte della più importante e vivida intelligenza che, in quel momento, lo scenario istituzionale aveva.
È chiaro che le verità possono essere, almeno, di due tipi diversi: le verità storico-politiche e quelle giudiziarie, che non necessariamente possono essere convergenti, per cui, nelle aule dei Tribunali, non saranno mai individuati i responsabili di quella morte, con conseguenze tuttora sulla vita del Paese.
È, però, importante ripartire oggi dall’insegnamento di Moro per comprendere meglio la realtà che ci circonda.
Gli interessi faziosi fanno male all’intera comunità nazionale, per cui nelle congiunture politiche problematiche è giusto e legittimo che gli avversari dialoghino fra loro e costruiscano un fil rouge per consentire ad una nazione intera di uscire da un impasse rilevante, così come fece appunto Moro, che capì che, in assenza di una relazione dialogica fra Comunisti e Democristiani, non si poteva invero portare il Paese fuori dalle secche della crisi istituzionale e politica degli anni Settanta.
Oggi, dovremmo - per davvero - essere tutti morotei, visto che la politica è esercizio profondo di saggezza e di moderazione e non può essere confusa con le logiche di parte, tipiche delle odierne opposte tifoserie sportive o degli scontri medievali fra Guelfi e Ghibellini.
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