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Mafalda Bruno
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Alla fine è nato il tanto atteso Governo. Dopo una gestazione isterica di 88 giorni, fatta di colpi di scena, nasce sì nasce no, di chi è la colpa, ora è fatta: da due forze politiche, cosa quantomeno singolare, che finora si sono sempre squadrate con sospetto, che avevano recitato il de profundis sulla nascita del loro stesso esecutivo, evocato il ritorno alle urne, non si sa bene se sotto l’ombrellone o al fresco di settembre, che in pre-campagna elettorale avevano affermato di non vedere neanche un benchè minimo spiraglio per allearsi mai nella vita, ora tiriamo un respiro di sollievo. Si sono messi d’accordo. Sia come sia il Governo c’è, lo spread cala e le borse e i mercati ringraziano. Evviva.
Siamo qui con le dita incrociate perché anzitutto i leaders che il popolo italiano ha scelto con il voto, sappiano ora comportarsi non più da capipopolo, da masanielli urlanti, ma da Ministri con atteggiamenti più consoni al ruolo istituzionale e alla carica che ricoprono. Soprattutto nel linguaggio sia loro che dei loro followers. Sarebbe già un bell’apprezzabile segnale.
Scongiurato quindi il pericolo di un frettoloso quanto inutile ritorno a breve alle urne che altro effetto non avrebbe sortito se non quello di prolungare una campagna elettorale esacerbata da proclami di piazza, si impongono alcune riflessioni su quello che ci aspetta. Fermo restando che è lapalissiano che tutti si aspiri al bene dell’Italia e degli italiani, ci mancherebbe altro, e quindi un grosso in bocca al lupo al neo Governo è d’obbligo, ci sono grandi urgenze che ci aspettano al varco sia nel nostro Paese che sul fronte estero.
Non possiamo non essere preoccupati sulle promesse rosee fatte in campagna elettorale. Tutti (o quasi) i provvedimenti annunciati sono lodevoli e apprezzabili, e magari ce la facessimo a raggiungerli: i sogni son desideri, ma il dato di fatto reale è che, ad occhio e croce, a fare acqua è la voce “copertura”. Le ipotesi fatte e gli strumenti individuati per trovare i mezzi necessari, sembrano irrealistici e utopici se raffrontati al livello del debito pubblico del nostro paese.
Tra le tutte in ogni caso, la più allarmante ipotesi è quello dell’uscita dall’euro, pericolosa e rischiosa atteso che può mandare a scatafascio i vincoli che, ci piaccia o meno, abbiamo l’obbligo di onorare verso l’Europa. E’ un po’ come decidere di uscire di casa passando, invece che dalla porta, dai cornicioni del tetto.
Come si fa a proporre una flat tax con il numero sempre più alto delle famiglie povere in Italia? Chiaro che a beneficiare di questa tassa unica, saranno solo i possessori di redditi alti che problemi a pagare le tasse certo non ne hanno mai avuti.
Insomma: ora chi ha vinto le elezioni proverà la differenza tra teoria e pratica. E’ facile urlare da un palco in piazza, specie se chi ascolta non ne può più di vivere nell’incertezza del futuro per se e per i propri figli, ma un altro discorso è mettersi all’opera, darsi da fare e risolvere, uno per uno, i nodi cruciali che attanagliano l’Italia.
Sperando, sperando e sperando, che eventuali intoppi alla realizzazione di alcuni provvedimenti, siano seguiti da spiegazioni e motivazioni reali e concrete: la gente che ha votato vuole vedere ora i risultati, aspetta risposte, un cambio di rotta a favore degli italiani. A chi non arriva a fine mese poco interessano elucubrazioni tecnico economiche oppure la litania noiosa “la colpa è di chi ha governato prima”. Se un brutto giorno si scopre che un figlio si droga, a poco servono le dietrologie e i “dove abbiamo sbagliato?”… il figlio va curato a prescindere dal passato della famiglia, prossimo o remoto che sia.
Avanti tutta quindi. Giudicheremo l’albero appena piantato dai frutti che riuscirà a dare.
E speriamo che siano frutti buoni. Per tutti noi.
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