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Il rinnovamento delle classi dirigenti

domenica, 03 giugno 2018 11:11

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Rosario Pesce
È giusto ed auspicabile che, in democrazia, le classi dirigenti si rinnovino in modo ciclico, visto che dal loro operato dipende molto per la società.
È, altrettanto, chiaro che il principale strumento di cambiamento sia il voto, per cui, in Italia come altrove, i cicli hanno una loro durata media.
Nel caso specifico della nostra nazione, per lo più la durata è ventennale: il ventennio della Destra Storica e quello della Sinistra monarchica, poi quelli (circa) di Giolitti e Mussolini, i due ventenni della Democrazia Cristiana, infine quello della Seconda Repubblica con l’alternanza fra Berlusconi e Prodi.
Con il voto del 4 marzo e la soluzione della crisi di questi ultimi giorni, è ovvio che siamo entrati in una nuova fase della nostra storia repubblicana, la cui possibile durata è, a noi, ignota.
Troppe sono le variabili possibili, per cui non si può, né si deve prevedere quanto possa durare il nuovo Governo o quali possano essere gli esiti della sua azione.
Ma, un dato è evidente, guardando la lista dei Ministri: la diminuzione dell’età media degli stessi e l’entrata al Governo di nuove possibili competenze, che dovranno in tempi stretti cominciare a capire come funziona la macchina ministeriale ed imprimere, quindi, l’input politico che si ritiene necessario.
Ma, al fondo delle cose la variabile maggiore è un’altra ed è data dalla diversità dei programmi di Lega e Movimento Cinque Stelle, che sono - comunque - forze che vengono da culture e da impostazioni molto differenti l’una dall’altra.
Detto questo, non si può che rispettare la volontà degli elettori, che in democrazia è sacrosanta: d’altronde, se Lega e M5S vincono la scommessa della governabilità, con loro vince il Paese intero; altrimenti, non possono che perdere gli stessi partiti politici e, quindi, per l’Italia non potrebbe che derivare un danno ulteriore, che - certo - non farebbe bene a nessuno.
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