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Qual è la politica estera dell’Italia?

domenica, 15 febbraio 2015 14:49

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Rosario Pesce
Di fronte ai fatti delle ultime settimane, sorge spontanea una domanda: nel corso, in particolare, dei primi anni del XXI secolo, perché è stata latitante la politica estera dell’Italia?
I drammi odierni, infatti, sono la conseguenza di decenni di assenza non solo da parte dell’Unione, ma finanche di molti Stati importanti, che hanno condizionato, nel modo sbagliato, gli esiti di processi di trasformazione, di cui - oggi - si paga il prezzo più alto possibile.
La cosiddetta primavera araba, sponsorizzata dagli Stati Uniti, allo scopo di abbattere i regimi, che da moltissimi anni governavano il Nord-Africa, è stata – vista con gli occhi dell’attualità – un vero e proprio disastro: sono state abbattute istituzioni laiche, che assicuravano la pace nel Mediterraneo, e sono stati creati dei nuovi Governi, con la complicità dell’Occidente, che ora si rivoltano, violentemente, contro di noi.
L’esempio più illuminante, a tal riguardo, è certamente rappresentato dalla Libia: nonostante i suoi vizi, il regime di Gheddafi ha garantito, dopo le scaramucce dei primi anni ’80 del secolo scorso, una forma accettabile di convivenza fra la sponda settentrionale e quella meridionale del Mediterraneo, per cui non solo erano fiorenti i traffici commerciali fra l’Italia e la Libia, ma quel Governo assicurava che non ci fossero flussi migratori verso le nostre sponde in misura eccessiva ed, invero, inaccettabile per qualsiasi Stato civile, impossibilitato a rigettare in mare i migranti, ma - al tempo stesso - privo dei mezzi necessari e delle strutture logistiche per accoglierli dignitosamente.
La caduta del regime Gheddafi - come quella di Mubarak in Egitto o del Governo tunisino di Ben Alì - fu salutata come un evento storico, dal quale l’Occidente avrebbe tratto enormi vantaggi commerciali ed il mondo arabo avrebbe ricavato la possibilità di occidentalizzarsi, conoscendo così a pieno la libertà e la democrazia.
A distanza di alcuni anni, si può verificare concretamente che nulla di tutto ciò si è consumato: nelle società arabe, infatti, ha prevalso la corrente integralista, lontanissima da qualsiasi possibile schema di convivenza fra la cultura occidentale e quella islamica.
Peraltro, noi Italiani abbiamo pagato il prezzo più alto, visto che il trionfo delle truppe vicine all’Isis in Libia fa sì che, a distanza di molti anni dai fatti accaduti ai tempi del Governo Craxi, siamo nuovamente obiettivo della strategia di sangue della jihad islamica.
Allora, i terroristi filo-palestinesi sequestrarono una nave italiana, l’Achille Lauro, ed uccisero un cittadino americano di religione ebraica; oggi, invece, il livello di rischio si è innalzato notevolmente, dal momento che gli integralisti minacciano direttamente le nostre città, dato che sarebbe loro intenzione mettere in scena gli stessi crimini, che sono stati realizzati in Francia nello scorso mese di gennaio.
L’Italia, dunque, ha perso il livello di sicurezza, che ha sempre fatto sì che eventi tragici, sul nostro suolo nazionale, non avvenissero, in virtù di uno standard di prevenzione altissimo e di un’efficacia dell’azione diplomatica, che mai sono stati messi in discussione, indipendentemente da chi fosse ai vertici della Farnesina e del Governo stesso.
Foto: http://iljournal.today/author/red/
Purtroppo, ci troviamo a vivere giorni, invece, molto tristi, perché dobbiamo essere coscienti che un qualsiasi gruppo islamista può organizzare attentati a Roma, come a Napoli o a Milano; inoltre, non possiamo, certo, dimenticare che la sponda mediterranea della Libia può essere usata per il lancio di missili contro il nostro territorio nazionale, vista la distanza marittima irrisoria, esistente fra le nostre coste e quelle - appunto - libiche.
Siamo, quindi, obiettivo dei jihadisti e potremmo conoscere la violenza, che, in altre parti d’Europa, i terroristi islamici hanno già diffuso a piene mani.
Mai, l’Italia si era trovata in una siffatta condizione di difficoltà: pertanto, dal momento che non abbiamo la forza politica per condizionare le decisioni dell’Unione, come si è visto in molte vicende, occorse nelle ultime settimane, sarebbe auspicabile che il nostro Governo si faccia promotore di una propria iniziativa diplomatica presso le autorità arabe non islamiste, allo scopo di tutelare - anche con il loro sostegno - i nostri interessi fuori dai confini nazionali e l’integrità delle nostre città, per evitare che qualche folle suicida possa organizzare fatti drammatici e violenti nelle affollate strade italiane.
Forse, la diplomazia dovrebbe tornare agli splendori degli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso, quando l’allora potente Ministro degli Esteri, Giulio Andreotti, era in grado di dialogare con gli Americani, ma al tempo stesso – in modo indipendente dagli alleati europei ed atlantici – era capace di costruire un autonomo rapporto con gli Arabi, che ci ha preservato dagli attentati, che invece sono avvenuti, frattanto, in modo copioso in Inghilterra o in Francia o nel Nord-Europa?
Molto probabilmente, da quando si è realizzato il processo di unificazione, monetaria ed economica, dell’Europa, le nostre posizioni si sono sin troppo schiacciate su quelle dettate dagli interessi degli alleati più potenti.
E' ben noto che, ad esempio, l’eliminazione di Gheddafi, ai tempi del dicastero Berlusconi, fu voluta fortemente dalla Francia di Sarkozy, allo scopo di mettere le mani sui contratti della compagnia petrolifera dello Stato libico (la Tamoil) e di ridimensionare, pertanto, la vastità dei nostri scambi commerciali con il vicino arabo.
È venuto, forse, il momento di agire contestualmente entro lo schema dell’alleanza occidentale, ma anche di tornare ad essere un punto di riferimento virtuoso per quanti non vogliono appiattirsi sulle posizioni di Francia e Germania, ben sapendo che i due Paesi più forti d’Europa perseguono legittimi interessi nazionali, che non coincidono, sempre, con i nostri?
D’altronde, la storia del colonialismo francese nel Nord-Africa è ben diversa dalla nostra, visto che noi, in quelle terre, siamo arrivati molti decenni dopo la Francia e, soprattutto, fummo costretti ad accontentarci dei possedimenti coloniali rifiutati dai Francesi. Oggi, a maggior ragione, non possiamo limitarci ad essere guidati da altri, ma dovremmo recuperare quello spirito autonomistico - pur nel quadro delle alleanze esistenti - che ci ha sempre consentito di essere interlocutori di chi voleva dialogare con una voce occidentale differente da quella di Parigi o Londra o Berlino o Washington.
Ne saremo capaci?
Soprattutto, la leadership renziana, così forte in Italia, saprà essere altrettanto autorevole in Europa o dovremo, ancora una volta, assistere a trattative – come quelle di Minsk per l’Ucraina – condotte e realizzate da Germania e Francia, in nome e per conto dell’intero continente, in assenza dei rappresentanti formali degli organismi competenti dell’Unione?
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