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Marella Giovannelli, una vita tra giornalismo, fotografia e poesia

venerdì, 09 novembre 2018 10:04

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Marella Giovannelli
Francesca Bianchi
Nell'atmosfera ospitale e raccolta di una bottega barbaricina situata nel cuore di Olbia, ci accoglie con il suo entusiasmo contagioso Marella Giovannelli, interprete, giornalista, poetessa, fotografa e scrittrice. Marella apre il cassetto dei ricordi, ripercorrendo per noi la storia della sua carriera, iniziata a Roma come interprete e traduttrice ed approdata ad Olbia negli anni Ottanta, dove intraprese i primi passi nel mondo del giornalismo, divenendo protagonista e testimone degli anni d'oro della Costa Smeralda.
Marella, donna generosa e sincera, dedica parole cariche di affetto a Porto Rotondo, luogo a cui la legano i ricordi più belli ed intensi di tante estati. Con orgoglio e commozione racconta della lunga amicizia con Marta Marzotto e ci svela i retroscena delle sontuose feste organizzate dalla Contessa nella sua villa portorotondina, dove si ritrovavano i personaggi più in vista del mondo della cultura, del cinema e dell'aristocrazia. Rievoca con nostalgia la raffinata semplicità di quelle estati, dove ci si riuniva per il gusto di stare insieme e divertirsi all'insegna dell'amicizia e della convivialità, prima che arrivassero veline, calciatori e starlette aspiranti ad ottenere le prime pagine delle riviste di gossip.
Nel corso della nostra bellissima conversazione, questa donna coraggiosa e tenace, sempre pronta a mettersi in gioco e a reinventarsi, si è soffermata anche sulla storia di Porto Rotondo prima che diventasse la località turistica di fama internazionale fondata da Nicolò e Luigi Donà dalle Rose: ascoltando i suoi coinvolgenti racconti, le ali della mia fantasia trovano rifugio nel mondo semplice della gente degli stazzi, un mondo fatto sì di duro lavoro, ma dove si sapevano assaporare con intensa genuinità i piccoli piaceri della vita ed ogni occasione era buona per far sì che l'intera comunità potesse riunirsi. Ed è proprio questo essere comunità, unito alla riscoperta della convivialità all'insegna dell'arte e della cultura, che Marella si augura possano tornare ad avere a Porto Rotondo il ruolo e la dignità che hanno avuto in passato e che meritano di avere sempre.

Marella, prima di diventare una nota ed apprezzata giornalista, è stata interprete e traduttrice. Ha conosciuto le storie travagliate dei profughi ebrei russi in transito a Roma, dopo essere fuggiti dall'Unione Sovietica a causa dell'antisemitismo. Di cosa si occupava precisamente e per conto di chi lavorava?
Ho frequentato la Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Roma. Ottenuto il diploma di Interprete Parlamentare e Traduttrice in Russo, Inglese e Francese, ho completato gli studi all'Università La Sapienza di Roma, dove mi sono laureata in Scienze Politiche con una tesi sull’Antisemitismo in Unione Sovietica ai tempi di Stalin. Ho avuto la fortuna di iniziare subito a lavorare per l'HIAS, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati ebrei provenienti dalla Russia. Lavoravo per intere famiglie di ebrei russi che fuggivano dall'Unione Sovietica per motivi di antisemitismo e rimanevano a Roma quattro-cinque mesi, il tempo necessario per ottenere il visto per l’America, l’Australia, la Nuova Zelanda, il Canada. Allora - parliamo degli anni 1976-1977 - eravamo in pochi a conoscere il russo; traducevo libri e articoli dal russo in inglese. Tutti i rifugiati avevano alle spalle storie di antisemitismo, di prigionia, di persecuzioni ed erano stati costretti ad abbandonare l'URSS con le loro famiglie. Alcuni avevano curricula importanti: erano scienziati, intellettuali, professionisti. Per un anno ho lavorato anche alla Ravtov, un'agenzia per l'emigrazione degli Ebrei dalla Russia in Israele, gestita da ebrei ortodossi seguaci del chassidismo. Ricordo che la mattina, quando venivano in ufficio, dopo aver mangiato le bruschette di pane con aglio, salivano sui tavoli e ballavano tenendosi per mano.
Poi, nei primi anni Ottanta, mi sono trasferita definitivamente ad Olbia con mio marito Gianni Marzi e con i miei figli.

Una volta arrivata ad Olbia, come si è ritrovata a fare la giornalista? Cosa L'ha indotta ad intraprendere questa carriera?
Ad Olbia, non potendo svolgere l'attività di interprete, ho cercato di mettermi in gioco e di reinventarmi per trovare qualcosa che potesse adattarsi a me. Nei primi anni Ottanta mio marito ed io abbiamo iniziato a frequentare l'ambiente di Porto Rotondo, dove ho conosciuto l'indimenticata ed indimenticabile Marta Marzotto. Il primo ricordo che ho di Porto Rotondo è proprio un invito a cena di Marta. Ci ritrovammo al tavolo di Albert, un locale storico vicino al porto: Marta, il conte Umberto Marzotto, che allora era suo marito, io, che a quei tempi avevo poco più di 20 anni, e mio marito. Da allora la Contessa iniziò ad invitarci alle sue cene e alle sue meravigliose feste. Con Marta nacque una grande amicizia che ha dato vita a tanti, preziosi incontri. Conobbi, infatti, tutte le persone che le ruotavano intorno. Allora Pierfranco Zanchetta, un amico giornalista, constatando che entravo a casa di gente che organizzava feste esclusive e, soprattutto, blindate, mi propose di fare la giornalista televisiva. Tv e giornali locali cominciarono a richiedere la mia collaborazione per interviste a celebrità. Le prime interviste le feci per un programma chiamato "Mare, moda e miti". Fu così che diventai testimone diretta dei grandi eventi di Porto Rotondo. Sono passata da "Sardegna Uno" a "Cinque Stelle". Poi ho cominciato la mia attività anche sulla carta stampata, lavorando per l'"Unione Sarda" e la "Nuova Sardegna" e collaborando con diversi quotidiani, settimanali e magazine. Ho avuto una lunga e piacevole esperienza con "La Gazzetta di Porto Rotondo".

Chi partecipava alle tante feste organizzate da Marta Marzotto? Come trascorrevano le Vostre estati a Porto Rotondo?
La casa di Marta è stata uno dei luoghi simbolo di Porto Rotondo. Qui si sono ritrovati, abilmente mischiati, i nomi più rappresentativi della cultura, dello spettacolo e dell'imprenditoria, giovani pieni di talento, celebrità internazionali, amici vecchi e nuovi. Alle 11 di mattina la tavola era già apparecchiata per cento persone. La mattina si andava in spiaggia tutti insieme: c'erano Monica Vitti, Nori Corbucci, Giancarla Rosi e tante altre amiche. Alle 14 si pranzava: ricordo pranzi affollatissimi a cui partecipavano tutti gli amici di Marta, alcuni dei quali venivano via mare con le loro grandi barche. Dopo pranzo si chiacchierava con persone del calibro di Dario Bellezza, Adele Cambria e Goliarda Sapienza. Poi si andava di nuovo in spiaggia. La sera organizzavamo feste realizzate per il gusto di stare insieme, feste di cui non abbiamo neppure una foto, perché tanta era la gioia di quei momenti che pensavamo a viverli intensamente, non ci sfiorava minimamente il pensiero di scattare foto.
A casa di Marta ho conosciuto Buzz Aldrin, il secondo uomo ad andare sulla luna, Ivana Trump, Lina Wertmuller, Paolo Villaggio, Franco e Giancarla Rosi, Sergio e Nori Corbucci, Marina Ripa di Meana, Daniela Santanchè, Carlo Giovanelli, Vittorio Sgarbi, i marchesi Verusio, Marina e Fiona Swaroswki, i fratelli Nicolò e Luigi Donà dalle Rose, abitanti storici, nonché fondatori di Porto Rotondo, Inge Feltrinelli, e tanti altri.
Marella Giovannelli con Monica Vitti e Nori Corbucci.
Cosa Le manca di più di quegli anni?
Sento la mancanza del piacere di fare festa per puro divertimento, per poter stare tutti insieme in allegria e spensieratezza. Noi ci divertivamo veramente. Nel corso degli anni c'è stata un'involuzione: lentamente si è passati dalle feste fatte per il gusto di stare insieme, a feste fatte a scopo promozionale, dove contano il numero degli ospiti, la mondanità fine a se stessa e la trasgressione ostentata. Mi manca molto l'assoluta mancanza di complicazioni che caratterizzava le nostre vacanze: si trattava di vacanze semplici, autentiche.

E di Marta Marzotto, invece, cosa Le manca? Quali sono i ricordi più belli della Vostra lunga amicizia?
Marta aveva una forte capacità di attenzione. Potrei scrivere pagine e pagine su quello che mi manca di Marta. Di lei mi manca soprattutto l’attenzione reciproca che si traduceva in ascolto, consigli, chiacchiere, risate e lacrime scambiate nelle ore in cui gli altri ancora dormivano, generalmente di prima mattina. Mi mancano i nostri spuntini improvvisati sugli scogli a base di ricci, salame, pane carasau e un bicchiere di vino. Mi manca non vederla più girare nelle case degli amici con i suoi regali, sempre sorprendenti. Mi manca la memoria prodigiosa di Marta, che io chiamavo la donna-spugna. Poesie, interi brani di libri, pagine lette decine di anni prima: lei ricordava tutto, ogni parola, e per ogni mia pena, aveva la cura giusta. Mi faceva sedere accanto a lei, preferibilmente sul lettone, mi ascoltava guardandomi dritta negli occhi e mi dava conforto, magari utilizzando i versi di grandi poeti, come tante volte è accaduto. In merito vorrei dire che aveva un'ammirazione straordinaria per i poeti e per le persone colte. Faceva il possibile per aiutare le persone di cultura e coloro che avevano talento. Mi mancano i suoi incoraggiamenti e le sue sgridate perché, in entrambi i casi, Marta era sempre la prima a far sentire la sua voce. Piena di emozione, orgoglio e gioia quando leggeva le mie poesie che, proprio grazie alla sua insistenza, decisi di pubblicare. Anche le sue epiche arrabbiature erano sempre costruttive, segno di affetto e attenzione. Mi manca la sua risata che, prima di sgorgare dalla bocca, le accendeva gli occhi. Occhi mai truccati che lasciavano trasparire ogni sua emozione e ogni suo turbamento. Nel suo sguardo era possibile intravedere sempre un raggio di sole, anche nei periodi più tempestosi della sua vita. Importante per me è aver vissuto l’esperienza della nostra amicizia ben oltre le feste e i riti dell’estate. Il ricordo di lei che aiuta il grande poeta Dario Bellezza in cucina a preparare la frittata con della lattuga e delle erbe di campo, resta indelebile, come tantissimi altri. E nel cuore porterò sempre l’immagine di una donna fuori dall’ordinario, per forza, dignità, coraggio e generosità, mai ipocrita, mai banale, mai meschina, mai volgare. La scomparsa di Marta ha lasciato in me un segno tanto pesante quanto è stata incisiva la sua presenza.

Prima ha nominato Inge Feltrinelli, la regina dell'editoria recentemente scomparsa, con cui ha avuto una lunga ed intensa amicizia. Che ricordo ne conserva?
Inge è stata una carissima amica. Ricordo che appena arrivava a Porto Rotondo, veniva a casa mia con una busta piena di libri in regalo e mi parlava dei “suoi” autori con un entusiasmo e una partecipazione incredibili. Lo faceva sorseggiando un bicchiere di vermentino freschissimo e gustando i suoi adorati spaghetti al pomodoro e basilico, rigorosamente preparati da mio marito, perché – diceva – "come lui non li fa nessuno". Inge amava ballare, ridere e scherzare, era profondamente innamorata della vita. Voleva sempre conoscere ed andare alla scoperta di posti nuovi. Ricordo che un giorno venne con me, Marta e Milva ad Orgosolo, dove alcuni amici pastori di mio padre organizzarono per noi un pranzo tipico. Inge stette tutto il tempo a chiacchierare con la gente del posto, dimenticandosi anche di mangiare. Un giorno la portai a casa di un amico, una casa semplicissima affacciata sul Golfo di Marinella, abitata da persone del posto. Avanzarono alcune triglie alla griglia e lei chiese di poterle portare via, tanto le erano piaciute!

Tornando a Lei, è stata interprete, traduttrice, giornalista, infine, negli anni Duemila, è diventata anche "paparazza". Come mai ha deciso di cimentarsi anche in questo ruolo?
Devo dire che le ville e i locali allora erano preclusi ai paparazzi. Io non potevo portarmi dietro il fotografo e così mi comprai una macchinetta fotografica per immortalare i vari personaggi che incontravo. Fu in quel momento che iniziai a raccogliere una mole imponente di materiale fotografico. Iniziai a lavorare come Beatrice Moss per l' "Unione Sarda", mentre per "Dagospia", "Panorama" e la "Nuova Sardegna" ero Mara Malda, lo pseudonimo che mi ha resa famosa ovunque. Era talmente forte l'identificazione col personaggio che chi mi contattava mi chiamava dott.ssa Malda e spesso a casa ricevevo telefonate di gente che cercava il sig. Malda.

Parecchi scatti realizzati in quegli anni confluirono in Fotograffiati, un Suo libro uscito nel 2011. Che ricordo ha degli anni Duemila? Come maturò l'idea di pubblicare un libro con le fotografe scattate durante le tante feste che frequentava?
Gli anni dal 2002 al 2006 furono anni intensi con sei-sette feste al giorno. Ero sempre in giro tra Porto Rotondo e Porto Cervo. Tra le curiosità di quegli anni, ricordo lo scoop del culatello, pubblicato nell’agosto del 2003 da "Dagospia", col quale ricostruivo il rocambolesco recupero di un culatello della Bassa ordinato da Silvio Berlusconi per Vladimir Putin, ospite a Villa Certosa. In quegli anni era ormai cominciato l'avvento di Internet, il che mi indusse a creare un sito nel quale raccolsi i miei articoli e il mio grande archivio fotografico. Selezionai oltre 300 immagini che avevo scattato dal 2003 al 2010. Nella galleria dei "fotograffiati" sono finiti Silvio Berlusconi, uomo politico ed ospite “canterino” e “ballerino” nelle feste in casa di amici, che una volta fotografai insieme a Tony Blair a Porto Cervo, il principe Karim Aga Khan, il conte Luigi Donà dalle Rose, Marta Marzotto, Lele Mora ed altri personaggi delle travolgenti estati della metà degli anni Duemila. Ci sono anche Woody Allen, Elton John, Meryl Streep, Andy Garcia, Vladimir Putin, Flavio Briatore, Simona Ventura, Alba Parietti, Krizia, Sandra Mondaini e molti rappresentanti del mondo dello spettacolo, della cultura, degli affari e dello sport.

Nel 2004, in occasione del quarantennale di Porto Rotondo, ha pubblicato Porto Rotondo, storia di un'emozione, un libro dove ripercorre la storia del borgo a partire dal Neolitico. Cosa sappiamo della storia di Porto Rotondo prima dell'arrivo dei Donà dalle Rose? Come è riuscita a ricostruire questa affascinante storia, spesso, purtroppo, sconosciuta ai più?
In Porto Rotondo, storia di un’emozione ho cercato di ricostruire la storia di Porto Rotondo dal Neolitico ai giorni nostri. Ho racchiuso le testimonianze di chi ha visto nascere e crescere questo splendido borgo marinaro. Nei primi anni Cinquanta la comunità che abitava a Monte Ladu era composta da una ventina di famiglie. Per ricostruire usi, costumi e tradizioni di un tempo ormai lontano, ma straordinariamente vivo nella memoria della gente del posto, ho intervistato tanti vecchi, facendo tesoro soprattutto delle testimonianze di Simplicio Deiana, Andrea Deiana e Mario Deiana, discendenti delle antiche famiglie insediate nel territorio. Nella vecchia Porto Rotondo si viveva di agricoltura e di pastorizia. La vita della gente degli stazzi era basata sul lavoro che iniziava al sorgere del sole e finiva al tramonto. Ci si alzava anche alle tre del mattino, soprattutto quando si dovevano accudire le bestie custodite in stalla. Dopo aver accudito il bestiame si andava ad arare, zappare, seminare o mietere a seconda delle stagioni. Curavano anche le vigne, gli alveari, la raccolta delle olive e l'allevamento dei maiali. Le donne di Porto Rotondo si occupavano della cucina, del bucato, del pollaio; le famiglie consumavano quello che si produceva negli stazzi. Il cibo era semplice e genuino e l'alimentazione era basata solo sui prodotti dei campi. Il formaggio si faceva in casa, come il pane. A proposito di alimentazione, alla fine del libro ho inserito una selezione di ricette degli stazzi: tra i cibi preferiti vi erano i ravioli di ricotta, gli gnocchetti, le minestre con il lardo e le costiglie di maiale, oltre alla famosissima zuppa gallurese. Finito il lavoro, dopo cena, spesso si andava negli stazzi vicini, dove tutti insieme giocavano a carte. Sovente organizzavano feste da ballo e serenate. Un altro passatempo, infatti, erano i balli; quelli preferiti erano il valzer, la mazurca, il tango e lo scottis. In inverno gli uomini usavano uscire in gruppo per fare le serenate con la chitarra o con la fisarmonica, girando di stazzo in stazzo e suonando fuori da ogni porta. Questo era un modo per socializzare con i vicini, che solitamente offrivano da mangiare e da bere. A volte i gruppi di amici stavano in giro tutta la notte e la mattina andavano direttamente a lavorare. Tutta la zona era un paradiso per i cacciatori: abbondavano cinghiali, lepri, volpi e pernici. Il luogo preferito per la caccia alla volpe, molto praticata dalla gente del posto, era l'istmo di Iscia Segada, ribattezzato Punta Volpe. Un ricordo curioso è legato al modo di comunicare tra i cacciatori da un'estremità all'altra del golfo: per confermare gli appuntamenti, erano soliti scambiarsi segnali di fumo o esporre dei teli bianchi sui cespugli, bene in vista. In questo contesto, negli anni Sessanta, arrivarono i fratelli Nicolò e Luigi Donà dalle Rose, che con una geniale intuizione immobiliare resero Porto Rotondo una località turistica famosa in tutto il mondo e meta ambita dal jet set internazionale.
Marella Giovannelli con Marta Marzotto
Gli abitanti degli stazzi come hanno accolto l'arrivo dei turisti?
Benissimo! Le famiglie locali si sono fuse con quelle dei vacanzieri, fino ad arrivare ad un'unica comunità, tanto che i turisti storici, quelli che vengono qui ogni anno da quattro generazioni, sono ormai considerati gente del posto.

Ascoltando i Suoi racconti, trapela un amore travolgente per Porto Rotondo? Cosa rappresenta per Lei questo posto?
Porto Rotondo per me è approdo, rifugio, faro e tana. In trent’anni ho conosciuto tantissime persone legate alla storia del villaggio e ho assistito ai cambiamenti delle tendenze, dei costumi e degli stili di vita. Il mio legame col villaggio è fortissimo. Per molti anni ci ho vissuto anche d’inverno e, nella solitudine e nella pace del fuori-stagione, ho trovato sempre motivi di ispirazione e riflessione.

Marella, Lei oggi è profondamente credente. Cosa rappresenta per Lei la fede?
Nell'ottobre 2015 mi sono riavvicinata alla chiesa. Sono divorziata dal mio primo marito. Oltre alla comunione, una volta mi rifiutarono persino la confessione. Soffrii moltissimo. Nel 2015 ho vissuto uno dei periodi più bui della mia vita che mi ha spinto ad intraprendere un percorso interiore e di preghiera sotto la guida di padri spirituali. Ho ottenuto il permesso di riavvicinarmi ai sacramenti e ho deciso di dare un taglio netto alla vita che facevo prima. La fede mi ha permesso di riscoprire il valore della verità. La menzogna era diventata uno stile di vita, niente aveva più valore. Ho acquistato lucidità, concentrazione; è venuto meno l'attaccamento verso le cose di questo mondo. La pace, il perdono, la verità sono diventati per me valori irrinunciabili. Oggi il momento per me più bello ed atteso è quando vado in chiesa.

Interprete, giornalista quasi per caso, "paparazza" e anche poetessa dell'età contemporanea: dal 1990 ad oggi ha pubblicato ben cinque raccolte di poesie. Come sono nate e come nascono le Sue poesie ?
Non avevo mai né scritto né letto poesie fino al 1990, anno in cui ho vissuto un periodo caratterizzato da un forte trauma, cui hanno fatto seguito emozioni piacevoli. C'è stata una sorta di corto circuito tra emozioni brutte ed emozioni belle, che fece sì che i miei pensieri e le mie sensazioni uscissero fuori come cavalli imbizzarriti. Ovunque mi trovassi, scrivevo le mie emozioni. Una volta le portai a Monica Vitti, a Marta e a Inge, che mi convinsero a pubblicarle. La mia prima raccolta è intitolata "L'estranea". Hanno uno strano modo di nascere le mie poesie: loro semplicemente arrivano, senza alcun preavviso. Sono ospiti esigenti, perché si presentano senza invito, spesso in disordine e, quando bussano alla mia porta, pretendono che io le accolga immediatamente. Devo quindi interrompere qualsiasi mia attività e "fermare l'attimo". Spesso sono pensieri talmente veloci ed inattesi da richiedere un intervento e mezzi di emergenza. Tra i più usati: la carta recuperata in auto mentre sono al volante, il cellulare-registratore e la sabbia-lavagna. Allora mi ritrovo a scrivere, stupita e spiazzata, cercando di dare forma, punteggiatura e titolo a qualcosa di fugace che, solo per qualche minuto, può essere trattenuta e fermata: la poesia. Grazie alle inattese visite della poesia sono riuscita a liberarmi dagli incubi, ad assaporare i miei sogni, a convivere con le mie illusioni e, soprattutto, con le mie delusioni.
Alla raccolta "L'estranea" fecero seguito "Mareamore", "Equatore celeste", "Il giostraio a riposo", "L'età del cuore". Le poesie sono autobiografiche, ispirate anche alla natura, sono molto introspettive, sono piccoli pezzi di vita. Alcuni anni fa, con la collaborazione di Maria Antonietta Seu Deiana, una selezione delle mie poesie è stata tradotta in logudorese.
Il fotografo Salvatore Ligios mi ha inserito tra i 63 poeti contemporanei della Sardegna in Sogni meridiani. Viaggio nella poesia contemporanea in Sardegna, catalogo nato dall'omonima mostra. Ha fotografato tutti noi e sotto ogni ritratto ha posto una nostra poesia. La mostra è itinerante: tutta l'estate è stata ad Arzachena, poi a Villa Verde, Neoneli e Desulo. Il 15 novembre il catalogo, edito da Soter, verrà presentato ad Olbia nell'ambito del Festival "Storie di un attimo".

Tornando a Porto Rotondo, al suo essere meta delle vacanze di tante celebrità, quella di quest'anno sarà ricordata anche come l'estate di Gina Lollobrigida...
Proprio così! Gina Lollobrigida è stata per un mese ospite di amici a Porto Rotondo. Ha dato prova di una vivacità e di un dinamismo incredibili. Ogni sera usciva per partecipare alle numerose feste a cui veniva invitata. Con disinvoltura si è mossa frequentemente tra Porto Rotondo e Porto Cervo. Prima che andasse via, siamo andati a trovarla con Luigi Donà dalle Rose. Ha promesso di tornare il prossimo anno. Mi ha colpito molto, quando ha esclamato: "A Porto Rotondo, però, dovete organizzare più iniziative, mica possiamo andare tutte le sere a Porto Cervo!".

Cosa si augura per la prossima estate e, soprattutto, cosa si augura per il futuro della Sua Porto Rotondo?
Auspicherei un ricambio generazionale e, secondo me, Una Donà dalle Rose è la persona giusta per poter lavorare in tal senso. Serve più dinamismo, perché viviamo in un'epoca in cui non possiamo offrire soltanto sole, mare e riposo. Bisogna attirare non solo i giovani, ma gente di tutte le età, offrendo un ventaglio di proposte degne di una capitale del turismo e coinvolgendo anche la comunità russa, che a Porto Rotondo è molto presente e radicata.
Dovremmo imitare il Consorzio Costa Smeralda, presieduto dall'avvocato Renzo Persico, mio caro amico, che costituisce l'esempio tangibile di come si dovrebbe fare turismo: Porto Cervo è un luogo che, dai primi di giugno sino a tutto ottobre, è ricchissimo di eventi culturali, artigianali e legati al mondo enogastronomico. Auspicherei una sinergia tra i due posti, cercando di gemellare gli eventi ed abbattendo, così, i costi.
Vorrei che a Porto Rotondo si realizzassero nuove iniziative sempre legate all’arte e alla cultura e, soprattutto, desidererei tanto che si ritrovassero l'allegria, la spensieratezza e la voglia di stare insieme che hanno caratterizzato le nostre indimenticabili ed irripetibili estati portorotondine.
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