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La politica di Putin

domenica, 22 febbraio 2015 23:47

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Rosario Pesce
La vicenda ucraina, nonostante la pace siglata a Minsk, pochi giorni or sono, è ben lontana dall’essere chiusa, visto che la Russia non ha rinunciato a conquistare i territori, che ritiene debbano tornare sotto il suo diretto controllo e che essa non amministra più dai tempi dello scioglimento dell’URSS.
Quelle aree di confine fra la Russia e l’Ucraina, obiettivamente, presentano moltissimi elementi, che le riconducono a Mosca: innanzitutto, la popolazione locale è di origini russe, per cui ci troviamo innanzi al primo caso di irredentismo del XXI secolo, visto che, pur in presenza delle sollecitazioni di Putin, la vicenda ucraina è nata dalla ribellione cruenta contro le autorità ucraine, messa in scena dalla popolazione autoctona.
Essa, appunto, ha poco in comune - da un punto di vista culturale e politico - con l’Ucraina, tanto più con quella attuale, che è, di fatto, una terra che sarà sempre più sotto il controllo militare degli Stati Uniti, che provvederanno ad armarla con il consenso della comunità internazionale, benché – molto probabilmente – lo stiano gà facendo, seppur fuori dal mandato delle Nazioni Unite.
Inoltre, un dato più generale non può sfuggire: Putin, certo, è l’avversario più importante, nel campo dei traffici commerciali, che hanno l’Europa e la Germania, ma non tutti i Paesi europei sono sulla medesima lunghezza d’onda della Cancelleria di Berlino.
Ad esempio, è ben noto che l’Italia, nonostante le sanzioni, decretate nei mesi scorsi nei confronti di Mosca, intrattiene relazioni diplomatiche con Putin: lo stesso Presidente del Consiglio, nei prossimi giorni, si recherà nella capitale russa, per chiedere alle autorità moscovite di dare un contributo alla comunità internazionale nello sforzo volto a limitare l’avanzata dello Stato islamico in territorio libico.
Putin, quindi, se riceverà il nostro Premier e se deciderà di sostenere l’Italia e l’UE nella battaglia contro il terrorismo islamico, sarà inevitabilmente legittimato a richiedere una contropartita, che potrebbe riguardare l’Ucraina, visto che, a quel punto, diventerebbe difficile contrastare le mire espansionistiche del Cremlino, se si dimostrerà leale negli sforzi per debellare la cattiva pianta dell’integralismo musulmano.
Pertanto, il ruolo della Russia è destinato a crescere, perché, nonostante si sia abituati a vederla come un nemico, alla pari di quanto avveniva ai tempi della Guerra Fredda, oggi la situazione internazionale obbliga, invece, gli organismi comunitari a riconoscere un ruolo sempre più determinante a Putin nella soluzione dei conflitti scoppiati in vari territori.
È ovvio che, se la Russia deciderà di contrastare l’avanzata islamica in Libia, essa diventerà un interlocutore prezioso per l’Italia e per l’Europa intera, tanto più dopo il rifiuto statunitense, che di fatto ha privato la UE di un potenziale alleato, con cui costruire un’eventuale spedizione militare, volta a sconfiggere definitivamente - in loco - i terroristi dell’Isis, che infestano – ormai, da mesi – la Cirenaica e la Tripolitania.
Siamo, quindi, ai piedi di Putin?
Dobbiamo, forse, accettare di buon grado il suo disegno egemonico, teso a ricostruire la Grande Russia, pur di avere un alleato fondamentale nell’azione di contrasto al fanatismo islamista?
Temiamo che la risposta a tali quesiti non possa che essere affermativa, visto – peraltro – il comportamento statunitense, che non aiuta - invero - l’Europa ad avere potere contrattuale nell’interlocuzione con l’inquilino del Cremlino, il cui impatto mediatico è seducente, pure, nel nostro Paese, dove le opposizioni fanno continuo riferimento a lui, disegnato - a torto - come l’alter ego di un’Europa matrigna, che affamerebbe i suoi concittadini, in nome di oscuri progetti, come la propaganda della Lega e del M5S non rinuncia a fare molto spesso.
A seguito della caduta del Muro di Berlino e della fine dell’Unione Sovietica, alla fine degli anni Ottanta, non credevamo affatto che, in così breve tempo, dopo essersi dati un’economia avanzata di tipo capitalistico, gli eredi del Comunismo stalinista potessero ricostruire la grandeur di una nazione, che, in quel momento storico, era in ginocchio, sconfitta ed umiliata dagli Americani, che avevano dimostrato, fino ad allora, di poter dispiegare uno straordinario potere economico ed una notevole intelligenza militare e strategica.
Oggi, la Russia di Putin conta, nello scacchiere internazionale, molto di più dell’URSS dei Soviet: non è un caso se l’unico Paese mediorientale, dove la cosiddetta Primavera araba - voluta da Washington - non ha determinato la caduta del regime preesistente al 2011, sia la Siria di Bashar al-Assad, sostenuta pesantemente dallo zar moscovita.
Finanche, noi Occidentali non possiamo non riconoscere l’attuale leadership mondiale putiniana, sperando però che, nel medio-lungo lasso di tempo, l’Europa torni, finalmente, a recitare un ruolo da protagonista, perché, se l’UE non può essere dipendente dalle politiche atlantiche, analogamente essa non può atteggiarsi in una posizione di evidente debolezza rispetto a chi - per storia e tradizioni - è un antagonista e non un alleato del mondo a guida franco-tedesca.
I prossimi mesi saranno decisivi per comprendere il peso russo nelle sorti europee, nell’auspicio che, frattanto, il prezzo politico, da pagare a Putin, per il suo aiuto decisivo in chiave anti-Isis, non sia né sproporzionato, né ridondante.
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