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Il giornalismo di guerra

domenica, 27 marzo 2022 13:25

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Rosario Pesce
Lo scoppio della guerra in Ucraina ha riportato in auge il protagonismo del giornalismo: ormai, trattasi di una diretta continua a reti unificate fra trasmissioni che proiettano le immagini del conflitto e quelle, invece, che sono di approfondimento politico intorno alle stesse vicende belliche.
Un’ipertrofia giornalistica che non ha precedenti, visto che, dal 24 febbraio, giorno dell’aggressione di Putin all’Ucraina, ormai questi programmi televisivi hanno invaso i palinsesti di tutte le reti, pubbliche e private, facendo passare in secondo piano, finanche, il Covid e l’attuale crescita dei contagi.
Certo, non possiamo che essere soddisfatti, per un verso, che la storia – attraverso la tv ed i social – possa entrare in diretta nelle nostre case, ma per altro verso non mancano elementi di criticità.
Infatti, la guerra è un momento traumatico per intere comunità ed il racconto continuo, perfino morboso, delle morti e del dramma bellico non può che, alla lunga, banalizzare il dolore di chi si trova sotto le bombe dei nemici e che poco altro può fare, se non affidarsi al buon Dio per uscirne vivo.
Inoltre, un siffatto giornalismo può divenire, anche nei regimi democratici, uno strumento di propaganda fuorviante e pericoloso: è il caso, in particolare, di taluni momenti televisivi di approfondimento, che hanno fatto divenire protagonisti delle idee e dei personaggi, che ostentatamente cozzano contro il senso comune e la percezione del reale.
In democrazia, evidentemente ogni contributo è ben accetto e diviene un fattore di crescita della comunità, ma è altrettanto vero che qualcuno ne può approfittare per acquisire un ruolo e per uscire dall’anonimato, facendosi semplicemente portatore di una visione del mondo - a volte - oscura, tendenziosa e, comunque, ben prezzolata.
Perciò, l’evento bellico, nella narrazione che ne fanno i media, rischia di divenire ipertrofico, causando danni ulteriori alla pubblica opinione, che ha la tendenza a dividersi in schieramenti opposti e fazioni difficilmente conciliabili fra di loro.
Forse, siamo passati dall’eccesso di presenza in tv dei virologi ed immunologi a quello di improbabili commentatori e reporter di guerra?
Forse, sarebbe necessario riportare il racconto militare ed il conseguente dibattito entro un doveroso senso della misura, visto che ogni eccesso è pericoloso?
Certo è che è opportuno il ripristino di una normalità agognata, se non si vuole banalizzare per eccesso di enfasi la morte di migliaia di innocenti.
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