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L’Italia: Paese dei mille borghi

martedì, 06 gennaio 2015 10:10

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Giovanni Maria delle Piane (1660-1745): Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta, dopo aver ereditato la collezione, volle il suo trasferimento a Napoli - da:http://it.wikipedia.org/wiki/Collezione_Farnese
Rosario Pesce
L’Italia è, storicamente, il Paese dei mille borghi e dei mille campanili: percorrendola in lungo ed in largo, si possono ammirare bellezze museali, monumentali, paesaggistiche, naturalistiche che ne fanno il giardino d’Europa, nonostante le politiche culturali, sovente, l’abbiano penalizzata.
È ben nota, infatti, la polemica con i Francesi, che ci portarono via molto opere d'arte, per lo più ospitate nei musei di Napoli, durante gli anni dell’occupazione napoleonico-murattiana, agli inizi dell’Ottocento, prima del Congresso di Vienna e della restaurazione borbonica.
I nostri cugini d’oltralpe ci hanno, sempre, accusato – finanche, giustamente – di non saper curare, nella maniera giusta, il nostro immenso tesoro, per cui la loro autentica frode verrebbe giustificata in nome dell’interesse superiore, teso a preservare – nel migliore modo possibile – i capolavori, che ci hanno sottratto nel primo decennio del XIX secolo.
D’altronde, chi ha avuto la possibilità di conoscere, direttamente, il sistema museale francese, sa benissimo come essi sappiano, certamente, ricavare maggiori profitti dai beni custoditi, mentre da noi, molto spesso, non si è stati in grado, neanche, di fare la catalogazione delle opere possedute, per cui non si conosce l’effettivo ammontare – anche, economico – delle ricchezze, che la storia ci ha lasciato in eredità.
Ma, i veri musei a cielo aperto sono, in gran parte, i centri storici, che, disseminati in tutto il Paese, da nord a sud, arricchiscono l’offerta commerciale e turistica, a tal punto che intere regioni – come Toscana, Marche ed Umbria – vivono, pressoché unicamente, di questa risorsa, che per loro rappresenta gran parte del Pil regionale, insieme naturalmente alla commercializzazione dei prodotti agricoli ed alimentari, che si accompagna al turismo nella stragrande maggioranza dei casi, visto che il turista, giustamente, vuole mangiare bene e consumare ciò che viene generato secondo una filiera, rigorosamente, biologica.
Nel corso degli ultimi due decenni, sono cresciuti notevolmente gli agriturismi, che abbinano entrambe le offerte: quella legata alla prossimità dei luoghi d’arte e quella, invece, fortemente attrattiva, vincolata alla chance di fruire di un periodo di riposo, da trascorrere in aperta campagna, lontano dal traffico e dal logorante stress cittadino.
Ferdinando IV di Borbone, con il quale si concluse il trasferimento della collezione a Napoli - da: http://it.wikipedia.org/wiki/Collezione_Farnese
Nonostante tale crescita, siamo – pur sempre – sotto lo standard produttivo, che l’Italia potrebbe raggiungere, in particolare nelle regioni meridionali, dove, nonostante una maggiore presenza di opere d’arte e di terreni coltivati, l’offerta turistica si articola ancora molto male, per cui i finanziamenti, caduti a pioggia, per favorire il turismo a vocazione agricola ed enogastronomica, spesso sono finiti nelle mani sbagliate, dato che sono serviti per sostenere interventi di rapina, destinati unicamente a creare una vera e propria frode ai danni dell’Europa, che è stata – per lo più, attraverso il canale di distribuzione delle Regioni – la vera finanziatrice e promotrice del settore agrituristico ed agro-alimentare.
Ma, come spesso capita nel nostro Paese, la vera responsabile del fallimento è la cattiva politica: non è un caso se, anche, l’ultima sciagurata decisione del titolare del Dicastero dei Beni Culturali, Franceschini, di trasferire a Parma il tesoro della collezione Farnese, che – nel corso dell’Ottocento – i Borbone portarono a Napoli, appare suggerita da una logica meramente miope ed elettoralistica, viste le origini ferraresi del Ministro stesso, che ha interesse - naturalmente - a riportare nella sua terra di elezione un bene artistico importantissimo, nonostante questo – da due secoli – sia conservato, peraltro legittimamente, a Napoli, visto che la città partenopea era il centro più rilevante fra quelli della dinastia borbonica nell’Italia del XIX secolo. Forse, gli uomini sono in grado di danneggiare ciò che la natura e l’arte ci hanno tramandato?
La risposta ad un tale quesito retorico è - purtroppo - positivo, dato che sono state condotte moltissime scelte, negli ultimi decenni, che hanno depauperato viepiù il vero “petrolio” della nostra nazione, imponendo contro-natura uno sviluppo industriale, laddove il territorio presentava una vocazione ben diversa, danneggiando – in taluni casi, irrimediabilmente – una ricchezza, che non può più essere rigenerata. Forse, visti gli errori tragici commessi, la storia – almeno, in tale settore – sarà maestra di vita?
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