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Eco: scrittore o divulgatore?

sabato, 20 febbraio 2016 10:04

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Rosario Pesce
La notizia della morte di Umberto Eco arriva in modo sorprendente, visto che, nonostante la sua veneranda età, l'autore de Il Nome della Rosa non ha mai fatto venir meno il contributo della riflessione critica su molti aspetti della società italiana, anche di recente.
Egli è stato, per almeno quarant'anni, il punto di riferimento ineludibile di molte generazioni di Italiani, visto che, attraverso i suoi romanzi, egli non solo ha ricostruito pagine importanti della storia del nostro Paese, ma è divenuto il motore propulsivo di una riflessione che ha investito il presente, partendo dal passato più oscuro, finanche, della tradizione italiana.
Il Nome della Rosa e il Pendolo di Foucault, pur essendo romanzi atipici rispetto a quelli che eravamo abituati a conoscere nel corso del Novecento, hanno contribuito a far prendere coscienza, a moltissimi Italiani, del più autentico seme della loro (nostra) cultura, piegando cosi la scrittura romanzata ad un uso didattico, che è evidente, in particolare, nel caso dell'opera che, più di tutte, gli ha regalato la fama e la notorietà, non solo in Italia.
Gli studi di semiotica sono stati il fattore più importante della sua vastissima formazione culturale, la vera base su cui si è costruita la personalità dello scrittore, del divulgatore e dell'opinionista impegnato a fustigare i costumi degli Italiani.
Ma, la sua grandezza più autentica l'abbiamo sempre ricercata e trovata nelle sue "nugae", cioè in quelle piccole cose, gli interventi settimanali su L'Espresso, che hanno contribuito a ridefinire l'immagine di un intellettuale organico, anche se non esiste più, da decenni, la forma partito cui essere organici.
Infatti, i suoi articoli, le sue Bustine di Minerva, sono state sovente dei colpi autentici ad una classe dirigente di un'area culturale, che ha tradito forse, nel corso degli anni, la delega politica e valoriale ricevuta dalla propria base.
Umberto Eco nel 2005 con Alessandro Bianchi, rettore dell'Università "Mediterranea" di Reggio Calabria dal sito: https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Eco
Inoltre, il suo rapporto continuo e costante con le nuove generazioni, per effetto della sua attività di docente universitario, gli ha consentito, nonostante un carattere difficile, di non perdere il contatto necessario con una parte essenziale e vitale della società italiana, quella che egli ha potuto studiare con i mezzi raffinati del sociologo e del colto maitre à penser, nato in biblioteche ridondanti di libri, da cui però è uscito per studiare il presente, non rimanendo relegato nella torre di avorio di un passato, comunque, molto difficile da ricostruire e problematico per sua intima struttura.
La Sinistra italiana, più volte, lo ha strattonato, allo scopo di usare il suo prestigio internazionale per scopi elettoralistici, ma egli ha sempre avuto la consapevolezza che l'intellettuale deve stare un passo indietro rispetto all'impegno politico ed alla militanza di partito, se vuole evitare di subire l'omologazione che, prima di Eco, Pasolini aveva denunciato tragicamente.
Con la sua dipartita, muore forse il Novecento italiano definitivamente e, soprattutto, muore un'idea del rapporto fra intellettuali e popolo, fra classe dirigente e classe diretta, che Eco ha incarnato.
Dopo la morte di Eco, infatti il panorama della cultura italiana è, certamente, molto più povero, anche perché rischiano di rimanere in giro solo quei "cattivi" maestri, a cui Eco invece non ha mai appartenuto, nonostante i percorsi universitari, a volte, fossero in comune con chi ha, talora, confuso la docenza con un esercizio dogmatico, pericoloso ed autoreferenziale.
L'Italia, oggi, dà l'ultimo saluto ad un suo importantissimo cittadino, ad una personalità, che ci mancherà viepiù, visto che la società dei media ha creato più ingannevoli apparenze, che solide e concrete realtà.
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