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Una vittoria dimezzata

martedì, 08 marzo 2016 09:58

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Rosario Pesce
Quelle di Napoli e Roma sono state competizioni elettorali molto sentite: le primarie, infatti, per decidere il candidato del PD alle prossime elezioni amministrative, sono state utili per rimettere in campo un partito tramortito nella capitale dalla vicenda Marino e, nella città partenopea, da un quinquennio di esclusione dalla gestione della cosa pubblica a livello municipale.
Gli esiti sono stati scontati: in entrambi i casi, hanno vinto i candidati benedetti da Renzi, anche se nel caso napoletano la partita per la Valente è stata molto più dura di quella di Giachetti a Roma, dal momento che Bassolino, combattendo con la sua tradizionale indole leonina, è arrivato a poche centinaia di preferenze dalla candidata della Segreteria nazionale, dimostrando, ancora una volta, di poter contare su di un suo seguito personale di elettori, che lo hanno sostenuto in modo trasversale, ad ulteriore dimostrazione che il suo ventennio di governo locale ha lasciato tracce importanti, anche in termini di consenso.
Un dato, però, deve preoccupare - e non poco - i leaders nazionali del PD: l’affluenza, sia a Roma che a Napoli, è stata bassissima e questo è, ovviamente, un elemento che fa riflettere gli osservatori, perché evidentemente è in atto un processo di allontanamento dei cittadini non solo dal voto, ma più in generale dai momenti, effettivamente, fondanti di una democrazia diretta.
Forse, il PD, a livello locale, dopo i fallimenti degli ultimi anni, non ha grande appeal, per cui i candidati, che sono stati investiti dal successo delle primarie, sono destinati - comunque - a perdere a giugno, quando si voterà per il Sindaco?
Forse, il consenso, conseguito dalla Valente e da Giachetti, non sarà, neanche, sufficiente a portarli al ballottaggio, che certamente si celebrerà in entrambe le città?
Forse, è in atto un progressivo allontanamento della pubblica opinione dal partito del Presidente del Consiglio, per cui le primarie, che un tempo sarebbero state affollatissime, oggi si sono ridotte a vedere una partecipazione più che dimezzata rispetto a quella che sarebbe andata in scena, solo, pochissimi anni fa?
Certo è che, dopo la contesa interna fra candidati di diversa generazione ed aree culturali molto lontane fra loro, è comunque arrivato il momento che ci sia la concordia fra le varie anime democratiche, dal momento che, solo in caso di effettiva unità, l’appuntamento elettorale del prossimo giugno potrà regalare, forse, qualche gratificazione agli uomini (e alle donne), che si candideranno sotto i vessilli del partito del Presidente del Consiglio.
Certo è che la politica italiana si trova in un momento di svolta, dal momento che, come accadde nel 1994, le elezioni amministrative rappresenteranno un crocevia importantissimo: se i candidati del PD, appena indicati dalle primarie, dovessero perdere la battaglia nelle città più grandi, che andranno alle urne, allora è ineluttabile che si aprirà una crisi molto forte all’interno dell’odierna maggioranza di Governo ed, in particolare, all’interno del principale partito, che regge le sorti dell’Esecutivo.
Anche se Renzi finge di non dare importanza all’evento elettorale, concentrando tutte le proprie energie sul referendum costituzionale di ottobre, pare inevitabile ipotizzare che il voto amministrativo sia un test di verifica essenziale per lui, tanto più visto che sia a Roma, a Milano che a Napoli, i candidati individuati – rispettivamente Giachetti, Sala e Valente – sono stretta espressione del gruppo di potere – renziani e Giovani Turchi – che hanno la maggioranza di voti congressuali e di tessere nel Partito Democratico.
Frattanto, la prima verifica importante sarà rappresentata dall’evoluzione del dibattito all’interno dello stesso partito, perché solamente una rinnovata unità fra i vincitori e gli sconfitti di ieri potrà essere la giusta garanzia per la prosecuzione dell’iter riformatore in Parlamento e per la sopravvivenza di un Governo, che appare fin troppo fragile, visto che è appeso al filo debolissimo del consenso di Alfano e dei fuoriusciti di Forza Italia, capeggiati da Verdini.
Nelle prossime settimane, si assisterà al necessario riposizionamento di quanti, questa volta, non hanno obbedito alle indicazioni di Roma in merito alle scelte dei candidati e, dal momento che in politica, contrariamente alla guerra, non si fanno prigionieri, ma solo morti, crediamo proprio che chi è salito sul carro degli sconfitti - e non ha fatto in tempo a scendere dallo stesso - potrà, assai difficilmente, guadagnare la fiducia di chi ha bisogno di un personale fatto di individui fedeli ed ossequiosi ai diktat del Segretario-Premier.
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