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Braccio di ferro di Renzi?

martedì, 10 maggio 2016 01:16

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Rosario Pesce
Renzi ha deciso: dal momento che crede che l’esito delle elezioni amministrative di giugno possa non essere felice, farà del referendum costituzionale del prossimo mese di ottobre la reale prova di forza per convincere i suoi avversari, interni ed esterni al PD, che non esiste alternativa, nel Paese, all’attuale Governo.
La scommessa, che fa, è dunque molto forte: o riforma la Costituzione e diviene il tutor dell’Italia per molti anni ancora o perde il referendum e va miseramente a casa, visto che, a quel punto, non potrebbe neanche più giocare un ruolo minoritario all’interno del PD.
Personalizzare il referendum ci appare un errore, tanto per Renzi, quanto per il quesito referendario in sé, che è molto più importante della carriera politica del Premier.
Per Renzi il pericolo è evidente: fare della vicenda referendaria un plebiscito sulla sua persona, lo espone a rischi molto forti, che molto più saggiamente avrebbe potuto non assumere, separando nettamente le due cose.
Per il quesito del referendum, invece, la dinamica politica, che può innescarsi, ci appare tragica: infatti, la riforma costituzionale, varata dal Parlamento nelle scorse settimane, è così rilevante che il suo giudizio deve essere molto attento e prudente.
Noi, come è noto, nel merito siamo contrari alla riforma costituzionale, così come è stata approvata dalle Camere, anche se siamo fermamente convinti che la Costituzione del 1948 non deve essere avvertita come un feticcio, per cui – nelle forme più opportune – pure è necessario che il legislatore, diversamente da come ha fatto Renzi, ci debba mettere mano.
Non ci piace, infatti, un bicameralismo spurio, che non abroga il Senato, trasformandolo in una mera Camera delle Regioni, pronta a divenire l’ennesimo luogo di pressioni politiche, che nascono più da dinamiche lobbistiche, che non da ragionamenti cristallini ed adamantini.
Inoltre, è evidente che si percorre una strada sbagliata, quando si continua a non inserire nella Costituzione la legge elettorale per la Camera, che rimane una legge ordinaria e, quindi, come tale, troppo sottoposta agli interessi ed alle pressioni di questa o di quella parte, in funzione delle istanze contingenti.
Il Paese deve darsi, invece, una legge elettorale, che divenga parte integrante della Costituzione, scegliendo fra il modello proporzionale o quello maggioritario, così da far derivarne un’idea precisa del tipo di democrazia, che si intende costruire nel prossimo scorcio di secolo.
Nessun cittadino inglese o statunitense rinuncerebbe, ad esempio, al dispositivo maggioritario a turno unico, ben sapendo che, da questo, deriva un’idea di assetto democratico, ormai, consolidatasi nel tempo.
Analogamente, dovremmo fare noi Italiani, che invece abbiamo cambiato più volte giudizio sul dispositivo elettorale, spesso in funzione degli interessi di parte di questo o di quel leader.
Procedendo per tale via, qualsiasi tentativo di riforma di un meccanismo istituzionale sarà tacciato di essere costruito “ad personam” e, se non si può mutare una legge ordinaria in base agli interessi contingenti, a maggior ragione non si può, certo, modificare un caposaldo costituzionale in funzione di una visione particolaristica, che nasce da un momento storico, come quello attuale, all’insegna della forte indecisione e del caos nelle relazioni fra partiti ed istituzioni centrali (ad esempio, il potere esecutivo e quello giudiziario) dello Stato.
Per tutte queste motivazioni, auspichiamo un convinto “NO” al quesito referendario, augurando allo stesso Renzi di poter continuare, comunque, a far politica, partendo però da una premessa diversa: lo sforzo di governare il Paese deve mirare, invero, ad includere istanze diverse e non ad escludere chi, comunque, è portatore di una visione differente delle relazioni fra parti ed interessi cogenti.
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