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Attentati in Europa: siamo ancora sicuri?

martedì, 26 luglio 2016 16:11

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Fabrizio Federici
Le dinamiche dell'ultimo attentato di Ansbach (non lontano da Norimberga), in cui il 27nne Mohammed Deel, rifugiato siriano affetto da disturbi mentali, ha fatto esplodere una bomba nei pressi d'un concerto (con una stima temporanea di 12 feriti, di cui 3 gravi) e la strage del centro commerciale di Monaco di Baviera, opera del 18nne, tedesco d'origini iraniane, Aly Sonboly (cui va aggiunta l'aggressione su un treno - quattro feriti - compiuta, giorni fa, dal 17nne afghano Muhammad Rayad, vicino Wurtzburg, ancora in Baviera), presentano forti analogie, che non possono non far riflettere.
Come anche per la strage di Nizza del 14 luglio, si tratta sempre di individui non solo molto giovani (delle ultimissime generazioni mussulmane: cresciuti - anche quando non immigrati in Occidente - tra precarietà della vita e appelli alla "Jihad"), quindi lontani da un adeguato equilibrio psicosomatico e da una piena maturazione morale e intellettuale.
Ma anche psichicamente instabili, se non disturbati (Sonboly, l'attentatore di Monaco, era, a quanto sembra, ossessionato dal desiderio di ripetere l' "impresa" di Anders Breivik del 2011 ad Oslo; mentre la polizia bavarese ha arrestato un ragazzo di 16 anni, possibile complice di Somboly, in passato ricoverato con lui nel reparto psichiatrico dell'ospedale di Harlaching). Se aggiungiamo i forti problemi economici dell'attentatore di Nizza (possibile molla d'adesione a un'impresa criminale magari adeguatamente retribuita), il quadro sembra completo.
Siamo, insomma, tra Marinus van der Lubbe (il giovane minorato condannato ufficialmente, nel '33, per l'incendio del Reichstag) e Lee Harvey Oswald: cioè di fronte ad individui in cui giovane età, immaturità intellettuale (con conseguente facile permeabilità ad ideologie tanto criminali quanto seducenti), disturbi psichici e difficoltà pratico-economiche formano un cocktail micidiale, come la storia insegna, risulta poi difficile capire il "dosaggio" dei singoli ingredienti; e, soprattutto, sino a che punto il killer sia stato strumento d'un preciso complotto o, invece, abbia agito abbastanza autonomamente, salvo poi essere "recuperato" e pienamente "naturalizzato" - per ovvio interesse, anzitutto massmediatico - dalle centrali del terrore.
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