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Stampa e Governo

mercoledì, 03 agosto 2016 06:01

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Rosario Pesce
È particolare il rapporto fra il Presidente del Consiglio e la stampa nazionale.
Per un anno circa, egli ha goduto, dopo la nomina a Presidente del Consiglio, del consenso unanime di tutti gli organi di stampa, dalla Rai a Fininvest, dalla carta stampata alla radio.
Progressivamente, tale idillio è, poi, venuto a mancare: in particolare, con la testata La Repubblica e con il Tg3 la relazione del Premier si è fatta assai più complicata, a tal punto che sia il telegiornale, guidato dalla Berlinguer, sia il giornale, di proprietà della famiglia De Benedetti, lo hanno sfidato sul terreno del referendum, facendosi – sia pure in forme diverse – araldi del “NO”.
Orbene, contro la potente famiglia di Ivrea egli può poco o nulla.
Invece, contro la Berlinguer è partita subito la rappresaglia, per cui, nelle prossime ore, è molto probabile che venga sostituita e nominata al suo posto un’altra personalità del giornalismo italiano, favorevole al “Sì” al quesito referendario.
Da più parti si fa il paragone con il famigerato editto bulgaro di Berlusconi, con il quale il Premier di allora espulse dalla Rai sia Santoro, che Biagi e Luttazzi, in nome di un principio che mai andrebbe formalizzato in uno Stato democratico: chi critica il potente di turno, non ha diritto ad occupare posizioni di privilegio nella televisione pubblica.
Non vogliamo fare, anche, noi una simile analogia, visto che un elemento di differenza rispetto alla vicenda berlusconiana esiste: Berlusconi sparava contro esponenti del giornalismo di Sinistra, per cui i suoi erano nemici ben noti e, come tali, oggetto di una persecuzione intollerante.
In tal caso, invece l’anatema di Renzi contro la Berlinguer – se c’è stato effettivamente, come abbiamo ragione di credere – è, ancora, più inviso ed antipatico, in quanto il Premier attacca un’espressione giornalistica della sua stessa parte politica, rea solo di condividere la medesima opinione della minoranza democratica in materia di riforme costituzionali.
Non sarà, certamente, un bel vedere quando i giornali, collocati su posizione anti-renziana, inizieranno a mettere in evidenza il comportamento di Renzi, tacciandolo di berlusconismo ancora più cinico e spietato.
Invero, una riflessione sulla libertà di stampa nel nostro Paese va pure fatta, dal momento che non siamo in presenza di un primo atto proditorio, che è manifestamente contrario a qualsiasi etica liberale.
Forse, l’Italia non è mai divenuto un Paese “normale” in materia di rapporti fra il potere politico e quello dei media?
Forse, il conflitto di interessi non è solo quello berlusconiano, visto che il Premier può controllare tutte le reti Rai e, se è alleato in Parlamento del proprietario di Mediaset, di fatto ha il monopolio dell’informazione in Italia?
Forse, gli stessi giornalisti dovrebbero imparare ad avere la schiena dritta, mettendo in conto finanche il loro licenziamento, pur di difendere i principi essenziali del nostro ordinamento costituzionale, come accadde a Montanelli venti anni fa?
Forse, semplicemente non siamo mai divenuti adulti noi Italiani, per cui attendiamo sempre che altri ci facciano la lezione sulle libertà essenziali di una moderna civiltà?
Forse, più immediatamente dovremmo allontanare dal Governo, con il voto e con la democratica espressione della nostra opinione, chi pensa di cambiare il direttore di un telegiornale a tre mesi da un evento - il referendum - che deciderà la sopravvivenza o meno dell’odierna Costituzione?
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