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L’economia langue

mercoledì, 17 agosto 2016 00:01

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Rosario Pesce
Quello, appena trascorso, è stato un ferragosto amaro per molte famiglie italiane, che vivono in uno stato prossimo alla miseria.
Infatti, i dati economici, diffusi dall’Istat, dimostrano ampiamente la condizione di disagio della nostra economia, che non cresce affatto rispetto all’anno precedente.
Peraltro, alla difficoltà economica si aggiunge una di natura finanziaria, visto che, a fronte di un PIL stagnante, il debito pubblico si amplia sempre più, anche, perché si restringe notevolmente la base imponibile.
Sono elementi questi che inducono una riflessione, dal momento che l’auspicata inversione di tendenza, prospettata dal Governo Renzi, non si è realizzata.
Cosa fare?
È evidente che andiamo incontro ad un futuro gramo, per cui le nuove generazioni, per lo più fatte di lavoratori precari e di disoccupati, avranno un livello di benessere inferiore a quello dei loro padri, contrariamente a quanto è sempre avvenuto dal 1945 in poi.
Infatti, dalla conclusione della Seconda Guerra Mondiale non si era mai prodotta una congiuntura così negativa, che rischia di divenire un dato strutturale della nostra economia nazionale.
Non è un caso se la Germania, Paese leader dell’Unione Europea, dopo il rallentamento di qualche anno fa, ha iniziato di nuovo a correre, per cui è l’unica economia europea in grado di competere con quella cinese e quella statunitense.
Non dobbiamo dimenticare un fatto: sia ai tempi del marco, che dell’euro la Germania ha sempre fatto della politica di deflazione il punto di forza del proprio sistema, riuscendo così a risollevarsi prima dalle miserie del Nazismo e, poi, dai costi della ricostruzione post-unitaria.
La deflazione, quella che stiamo vivendo ora in Italia, è invece il peggiore nemico del nostro Paese, dal momento che le nostre fortune, negli anni Sessanta ed Ottanta, sono state costruite sul primato dell’inflazione e di una moneta nazionale molto debole, che consentivano agli stranieri di venire a spendere da noi, sia per l’acquisto dei prodotti dell’industria, che per i consumi indotti dal turismo.
La politica monetaria, imposta dalla Germania all’intera Unione, se favorisce il decollo tedesco, ineluttabilmente indebolisce i Paesi del Mediterraneo, che non hanno un’economia altrettanto solida quanto quella di Berlino, per cui soffrono oltremodo un rigore finanziario, che non è sostenibile in realtà produttive, che non hanno parametri di efficienza e di solidità, come quelli germanici.
Si può uscire dall’Ue, allora, come ha già fatto il Regno Unito?
Oppure si può chiedere una deroga sistematica a quei criteri, facendo in modo tale che la deflazione, almeno, si accompagni a vincoli meno rigidi, che permettano all’Italia di andare oltre il fatidico 3% nel rapporto fra debito e ricchezza annua prodotta?
Sono quesiti su cui è giusto ragionare in modo sereno ed opportuno, prima che un’ondata di xenofobia e di odio verso l’Europa non induca un cambio repentino delle nostre politiche, che sarebbe per davvero letale, se venisse condotto in maniera estemporanea e violenta, come pure vorrebbero taluni movimenti, invero molto forti fra la pubblica opinione.
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