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Se gli Italiani si allontanano dal calcio

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domenica, 02 ottobre 2016 18:28

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Rosario Pesce
Un’interessante inchiesta di Ilvo Diamanti per Repubblica dimostra come il fenomeno calcio, nel nostro Paese, stia scemando sempre più, a tal punto che solo 4 Italiani su 10 si dichiarano tifosi di una qualsiasi squadra.
Una percentuale, quindi, molto bassa, visto che altri sport, come il motociclismo e l’automobilismo, riscuotono un consenso maggiore.
Venti anni fa, le cose però non erano così.
Cosa è successo, allora, perché il calcio perdesse tanto consenso nel Paese?
Gli scandali, come quelli del Calcioscommesse e Calciopoli, hanno invero minato la credibilità di uno sport, che, nel corso degli ultimi anni del Novecento, era il più amato - in modo indiscusso - dai nostri connazionali.
Peraltro, gli incidenti ed i morti, che talora si sono verificati negli stadi, hanno allontanato le famiglie, per cui chi continua a tifare, per una squadra di calcio, preferisce farlo assai comodamente dal salotto di casa, piuttosto che dalle gradinate di un impianto, dove la follia di qualche sconsiderato può, addirittura, mettere in discussione la vita di spettatori piccoli ed indifesi.
Non è un caso se, nella fase di progettazione dei nuovi stadi di proprietà delle società calcistiche, si immagina di realizzare impianti di una capienza molto ridotta.
Un esempio su tutti: il San Paolo di Napoli, che oggi ha una capienza di circa settantamila spettatori, sarà sostituito da uno di ventimila, così come molto piccolo è quello già costruito a Torino, di proprietà della Juve.
È evidente che le ragioni del business sono determinanti in tale processo di cambiamento del fenomeno calcio: le televisioni a pagamento, in verità, comportano profitti molto maggiori rispetto al biglietto cartaceo acquisito allo stadio, per cui sono gli stessi club che incentivano una tale uscita dal luogo fisico dello stadio in cambio, invece, di un rafforzamento della platea del cosiddetto stadio “virtuale”.
Inoltre, un fatto importante sta cambiando nel fenomeno calcio: prima, l’appartenenza ad una tifoseria era, sostanzialmente, espressione di un radicamento territoriale, per cui si tifava per il club della propria provincia o regione, mentre oggi i tifosi si riconoscono, per lo più, in quattro grandissime realtà calcistiche sovra-regionali (Juve, Napoli, Inter e Milan), che raccolgono adepti sull’intero territorio nazionale, dalle Alpi alla Sicilia, a fronte di tutte le altre squadre (finanche, Roma e Lazio), che fanno proselitismo solo nel loro territorio regionale o in quelli immediatamente limitrofi, essendo per lo più assenti nelle aree più lontane d’Italia.
È evidente, a tal riguardo, che il predominio delle televisioni condizioni molto l’articolazione delle tifoserie: Juve, Napoli, Inter e Milan sono le società che, negli ultimi anni, o hanno vinto il maggior numero di trofei o, come nel caso della società partenopea, hanno il maggior numero di partecipazioni alle competizioni continentali e di migliori piazzamenti in Serie A.
Una tale geografia del calcio italiano dimostra, viepiù, che hanno ragione quei Presidenti, che invocano una disarticolazione del campionato nazionale, per potenziare la partecipazione delle squadre di prima fascia ad un torneo europeo: è ovvio che, se Napoli-Chievo non attrae, certamente risulterà molto più interessante una partita del tipo Napoli-Barcellona o Juve-Psg.
Non solo, quindi, gli entusiasmi ed i sentimenti genuini degli Italiani sono decisivi: la logica del profitto, espressa dal tentativo di internazionalizzare il prodotto calcistico, è l’unica che può rivitalizzare un sistema, altrimenti destinato a morire ed a trasformare il calcio da sport di massa in fenomeno d’élite.
Forse, non si potrà più tornare al calcio delle radioline domenicali di Ciotti ed Ameri, ma in verità si può guardare in avanti ed il calcio, meglio di qualsiasi altra azienda, contribuirà a rendere l’Europa unita, almeno intorno ad un pallone che, allegramente conteso da 22 calciatori, rotola su un prato verde.
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