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Pietas o cinismo?

domenica, 23 ottobre 2016 16:39

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Rosario Pesce
La nostra società appare, sempre più, cinica ed indifferente nei riguardi del bisogno.
Infatti, le scene di povertà, purtroppo crescenti che emergono sempre più di sovente, anche attraverso l’uso dei social, ormai tendono a colpire meno la sensibilità degli Italiani, come se questi avessero fatto il callo – come si dice in gergo – con la sofferenza altrui.
È sempre più frequente trovare all’angolo di strada il barbone, di colore o meno, che chiede la monetina o, peggio ancora, si vedono sovente anziani che rovistano fra i rifiuti del mercato alla ricerca del prodotto, che possa soddisfare il loro bisogno essenziale.
Rispetto a queste scene, ci si interroga dove sia andato a finire il sentimento di pietas, che dovrebbe spingere ciascuno di noi, naturalmente, a venire incontro alle esigenze altrui.
Molto spesso, lo Stato è costretto a dichiarare la propria inadeguatezza nel far fronte a simili situazioni, per cui l’unico Ente assistenziale è la Chiesa, che opera attraverso le sue organizzazioni su tutti i territori più difficili del Paese.
Ma, è ovvio che anche l’assistenza, offerta dalla Caritas o da qualsiasi altra organizzazione religiosa, si dimostra insufficiente, quando le povertà si sommano, per cui ai nostri poveri si aggiungono quelli provenienti dall’Africa, che hanno bisogno di un pasto caldo o di un luogo dove alloggiare.
Peraltro, la propaganda politica ha, sovente, contribuito a creare un clima di odio e di avversione verso le scene e le condizioni di povertà, che abbiamo sopra menzionato, per cui la presenza di un povero all’angolo di strada costituisce, talora, il presupposto per un conflitto vero e proprio fra quanti sono a favore dell’ospitalità e quanti, invece, si lasciano catturare da sentimenti xenofobi o, comunque, non inclini alla tolleranza ed all’accoglienza del più debole.
Inoltre, non possiamo invero dimenticare che, viste le proiezioni dell’economia nei prossimi anni, tali spettacoli sono destinati a crescere, perché sempre più netta sarà la distanza fra i ricchi ed i poveri, il cui livello di povertà arriverà, appunto, a toccare l’assoluta indigenza, come era nell’Europa del primissimo secondo dopoguerra.
D’altronde, le trasformazioni, indotte dalla nuova economia mondiale, nata dopo la fine della Guerra Fredda, hanno fatto sì che l’Occidente conoscesse gli spettacoli della miseria più forte, finanche, sul suo stesso territorio, mentre prima si era abituati ad immaginare il bisogno come condizione umana solo appannaggio di alcune aree del mondo.
Rispetto a questa mutata situazione, purtroppo non abbiamo gli strumenti culturali per agire, per cui si passa dall’indifferenza più bieca ad un sentimento generico di prossimità al proprio simile: atteggiamenti, questi, che non determinano alcun miglioramento in favore di chi ha, effettivamente, bisogno.
Pertanto, una catarsi sarebbe necessaria per tutti, più o meno ricchi, che sono nelle condizioni di sostenere chi, invece, soffre la fame e gli stenti di una vita grama.
Si potrà raggiungere una condizione, allora, di mutua assistenza ovvero si assisterà sempre più alla recrudescenza di egoismi insulsi, che non fanno altro che aumentare il livello di conflitto fra esseri umani?
Forse, aumentando la povertà, cresceranno anche gli odi e gli atteggiamenti all’insegna del più bieco machiavellismo?
Purtroppo, l’umanità sta vivendo un momento di involuzione culturale ed, invero, in tale parabola rischiano di pagare il prezzo più alto quei sentimenti, che dovrebbero essere parte integrante del nostro vivere, oltreché del nostro ordinario pensare.
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