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martedì, 25 ottobre 2016 21:47 |
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Fabio Falzone
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l "nonum kal septembres" cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24 agosto, verso le ore 13 iniziò l’eruzione del Vesuvio che portò alla distruzione di Pompei Ercolano e Stabia.
L’eruzione colpì in modo diverso Pompei ed Ercolano. La prima fu colpita da una nube piroclastica cioè una nuvola di gas che conteneva pomici ed altro materiale ad altissima temperatura. Nella disgrazia le persone colte all’aperto ebbero la fortuna, se così si può dire, di svanire in una vampata senza aver il tempo di soffrire. Chi invece fu raggiunto al chiuso questo tempo lo ebbe.
Ercolano ebbe invece sorte diversa. Fu invasa da un fiume di fango e lava alto 20 metri che ricoprì interamente tutta la città e, raffreddandosi, bloccò nel suo interno persone e cose. Più o meno verso la metà del 1700 iniziarono gli scavi per riportare alla luce Ercolano. Gli scavi non furono semplici in quanto si trattava di scavare rocce durissime che avevano inglobato tutti i reperti. L’interesse mondiale si accentrò su statue, oggetti e manufatti finche non si arrivò ad una villa alla periferia della città. Proprietario della villa sarebbe stato, secondo la tesi più accreditata, Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, console nel 58 a.C., protettore di Filodemo ed avversario di Cicerone, ma le cose non furono semplici. Il suo scavo, iniziato nel 1750, fu interrotto nel 1761 a causa delle esalazioni di gas venefici del sottosuolo e della falda freatica; i cunicoli furono allora interrati senza che la villa fosse stata esplorata completamente. Scavando all’interno della villa, comunque, fu rinvenuta una sala con scaffali di legno pieni di quel che sembravano residui di legni o di reti carbonizzati.
Nessuno si interessò più di tanto a questi residui. Completamente carbonizzati si sbriciolavano in mano come venivano toccati. Quando finalmente si capì che si trattava di papiri avvolti sorse il problema di tentarne la lettura. Per fortuna ci fu chi immaginò che dentro a quei pezzi di carbone ci fossero importanti conoscenze. Fu Carlo III di Borbone (1716-1788), che decise di intervenire chiedendo l’aiuto del genovese padre Antonio Piaggio. Si trattava di riuscire a svolgere i rotoli fragilissimi. Questi inventò quindi una macchina per fare questo senza danni con l'ausilio di una sostanza collosa, di strisce di pelle e fili di seta. La macchina consisteva in una struttura di legno che doveva fungere da sostegno. A questa erano fissate due serie di sei carrucole per parte che facevano presa sui due bordi dello stesso lato del rotolo. Le carrucole erano semplici ingegni costituiti da due pulegge fissate in alto ed in basso.
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Da una parte della serie c’era un peso determinato. Dall’altra era fissata ad un lato di un sostegno a cui era incollata una estremità del rotolo. Tutto questo consentiva la demoltiplica del peso attaccato, rallentandone in modo fortissimo la discesa. Sull’estremità opposta il rotolo, quindi, si svolgeva ad una velocità quasi impercettibile; trattato con liquidi che lo ammorbidivano, si svolgeva quasi senza rompersi. Il papiro, così aperto, veniva steso su una lastra di vetro su cui era poi incollato. Essendo il papiro bruciato, e quindi nero, si veniva a trovare sul vetro una immagine negativa del rotolo originale, consentendo però la lettura dello scritto originale.
Certo, la situazione non si sviluppò in maniera semplice e senza difficoltà. I primi tentativi di gestione dei rotoli furono tramite soluzioni chimiche che li distrussero irrimediabilmente. Poi si passò ad un sistema ritenuto valido: la scorzatura. Si trattava cioè di tagliare a metà per lungo il rotolo. Essendo infatti il rotolo avvolto con le informazioni principali in centro, si tentava così di intervenire direttamente su queste. Ma come? Interpretando e poi scorticando la parte per passare al semifoglio successivo. Oltre alla possibilità di errori di diverso genere, si trattava di distruggere il rotolo senza lasciare nulla ai posteri. Il metodo di padre Piaggio è stato per secoli, opportunamente modificato almeno nei liquidi ammorbidenti e nella metodologia di lettura, il più efficace. I papiri ercolanesi sono alcune migliaia e nel mondo ne sono stati trovati altri migliaia bruciati e rovinati in modo illeggibile. La “papirologia” scienza che ad Ercolano ha consentito di leggere documenti che si pensavano persi di Filodemo, Epicuro e forse Aristotele e Virgilio, ha quindi trovato applicazione anche in altri luoghi. Oggi però sembra si sia riusciti a trovare un sistema per leggere l’illeggibile.
Una nuova tecnologia sviluppata da Steven Booras del College of Engineering and Technology della Brigham Young University (Utah) ha fatto apparire anche ciò che l'occhio non vede. Booras è riuscito invece ad adattare ai papiri ercolanesi un tipo di analisi multispettro già applicata con successo ai fragili rotoli del Mar Morto ed ai papiri di Petra.
Grazie a un particolarissimo sistema di filtri e a una macchina fotografica digitale opportunamente modificata, l'analisi multispettro è in grado di distinguere anche le più piccole variazioni nella composizione chimica delle sostanze (La Repubblica.it) –
In conclusione: metodologie modernissime, su invenzioni antiche ci consentono di riportare in luce il passato.
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