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Medioriente: miseria e tensioni politico-religiose

venerdì, 16 gennaio 2015 15:32

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Betlemme: muro di divisione fra Israele e la Cisgiordania - ph. Michele Cirillo - michelecirillo.com
Dal nostro inviato
Fabrizio Federici
Son da poco rientrato dal Medio Oriente: dove ho viaggiato, per otto giorni, insieme ai soci dell’Associazione di volontariato "Assopace Palestina", intitolata alla memoria di Vittorio Arrigoni ( il pacifista italiano ucciso a Gaza nell`aprile 2011), da anni attiva nel promuovere iniziative non violente per il superamento del conflitto israelo-palestinese.
Un viaggio straordinario, ma soprattutto formativo: che permette di capire dal vivo la complessità del drammatico conflitto israelo-palestinese, fuori dell' ottica stereotipata e manichea che prevale il più delle volte nei mass-media.
La prima cosa di cui ci si rende conto, viaggiando in queste terre belle quanto tormentate, è che, nel 1992- 93, la leadership palestinese, all`epoca rappresentata soprattutto dall` OLP, con Al Fattah componente maggioritaria, commise (leggerezza? Impreparazione?) un grave errore nel firmare degli accordi di Oslo che, pur segnando una svolta storica per il Medio Oriente, non risolvevano nei dettagli questioni fondamentali per il popolo palestinese come i diritti di circolazione nei Territori occupati e l`uso dell’acqua, essenziale per l’agricoltura e la vita quotidiana rimandando ad accordi dettagliati che non sono stati mai conclusi.
A Gerusalemme, parliamo del groviglio mediorientale con Luisa Morgantini, Vicepresidente emerito del Parlamento Europeo (2007 - 2009, con l`incarico delle politiche europee per l`Africa e i diritti umani), presidente di Assopace Palestina e con Michele Giorgio, giornalista de "Il Manifesto" specialista del Medio Oriente.
E` dal 1988 che Assopace Palestina organizza viaggi di conoscenza e solidarietà in Israele e nei territori occupati della Palestina: viaggi coordinati, da diversi anni, appunto da Luisa Morgantini, che in questi giorni ci ha accompagnato in un lungo tour da Gerusalemme a Ramallah, Nablus, Hebron, sino alla Valle del Giordano e al campo profughi di Aida, a Betlemme.
E` del 30 dicembre - ricorda Michele Giorgio - la bocciatura, al Consiglio di Sicurezza ONU, d`una risoluzione, presentata dalla Giordania per la Palestina (che, come Stato osservatore non membro, non può ancora presentare direttamente proposte agli organi delle Nazioni Unite), che prevedeva il ritiro graduale di Israele dalla Cisgiordania entro il 2017 e la conclusione, entro un anno, d`un definitivo accordo di pace.
Per soli 2 voti , quelli di Nigeria e Rwanda, la mozione non è neanche arrivata alla discussione dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza.
Contrattaccando, il presidente palestinese Abu Mazen ha firmato, subito dopo, la domanda d`adesione della Palestina a vari trattati internazionali degli ultimi decenni, tra cui quello di Roma del 1998 sulla Corte Penale Internazionale delle Nazioni Unite: richiesta - commenta ancora Michele Giorgio - che preoccupa alquanto Israele, che un domani potrebbe vedersi chiamato alla sbarra, per iniziativa palestinese, a proposito delle violente repressioni compiute a Gaza nell'ultimo decennio.
Betlemme: muro di divisione fra Israele e la Cisgiordania - ph. Michele Cirillo - michelecirillo.com
Ma anche i palestinesi, ha ribattuto con forza Netanyahu, potrebbero esser chiamati in causa dalla stessa Corte, in quanto alleati di Hamas, organizzazione che pratica ufficialmente il terrorismo anche contro i civili: mentre, ad ogni buon conto, Israele ha già iniziato a bloccare 127 milioni di dollari, appartenenti alla quota dei proventi di dazi e tariffe doganali che, per legge, spettano all’Autorità Nazionale Palestinese.
Un conflitto che si trascina, apparentemente, senza sbocchi, su più fronti", osserva ancora il corrispondente del "Manifesto" da Gerusalemme: da quello interno a quello diplomatico e a quello dell’economia.
Lo stallo, infine, deriva anche dalla vicinanza delle elezioni politiche israeliane (17 marzo).
Per il Likud è` prevista una dura battaglia contro i laburisti e il partito alleato dell’ex- ministro Tizpi Livini, che dovrebbe tuttavia concludersi con la vittoria, quindi con la riconferma dell'attuale premier: con buona pace di Obama, fortemente irritato verso Netanyahu dai giorni dell'ultima, sanguinosa repressione israeliana a Gaza.
Non dobbiamo poi dimenticare – aggiungeLuisa Morgantini - gli obbiettivi limiti, e i gravi errori dei palestinesi che non riescono ad esprimere una leadership alternativa a quella vecchia, espressione soprattutto dell’OLP, ormai screditata per eccessiva disponibilità nei confronti di Israele e per una gestione delle risorse caratterizzata da sprechi e corruzione.
L' unica alternativa emersa negli ultimi otto anni, Hamas, in complesso non esce da una visione integralistica della politica (anche se non paragonabile a quella di Al Qaeda o dell'ISIS), e dal frequente, inaccettabile ricorso al terrorismo contro i civili.
Teniamo presente, però, che, "de facto", Hamas, sin dal 2006, accettando di presentarsi alle elezioni non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania (elezioni con regolarità certificata dagli osservatori internazionali), ha implicitamente riconosciuto lo Stato d’Israele.
Per aiutare veramente il processo di pace in Palestina, tuttavia, conclude la Morgantini, in Italia dobbiamo uscire dalla cultura delle manifestazioni di massa e basta.
Seguiamo l’esempio anglosassone, cioè far lobby nel senso migliore del termine: creare anzitutto un coordinamento stabile tra le varie organizzazioni per la pace e i diritti civili in genere (Rete della Pace, Rete per il disarmo, ecc...), e poi scrivere regolarmente ai nostri parlamentari per esortarli a seguire l’esempio dei colleghi svedesi, britannici, francesi e dello stesso Europarlamento, i quali, negli ultimi mesi, hanno approvato risoluzioni che, pur con vari "distinguo" e qualche ambiguità, invitavano i Governi a riconoscere ufficialmente lo Stato di Palestina.
Senza disconoscere, è chiaro, il legittimo diritto di Israele alla sicurezza: che, però, non può` diventare l’alibi per protrarre all’infinito un’occupazione che, per il popolo palestinese, comporta intollerabili sofferenze.
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