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Dateci Duterte!!

lunedì, 16 gennaio 2017 14:15

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Oscar Bartoli
I predicatori anti casta, i populisti, i nichilisti hanno avuto e stanno avendo un grande successo a livello planetario.
Il fossato tra la gente comune e chi fa politica per missione o professione è divenuto sempre più largo ed i tentativi di superarlo si rivelano molto difficili. Perché é facile distruggere. Quanto al ricostruire, ne corre.
Che la gente sia stanca delle chiacchiere a vuoto, delle promesse non mantenute, della conferma che per molti fare politica significa prima di tutto fare i propri interessi e quelli della conventicola di appartenenza, è una costante di fondo presente, sia pure con connotazioni diverse, in una stragrande maggioranza di paesi democratici.
Sono ancora molti quelli che si chiedono negli Stati Uniti ed altrove come sia stato possibile che il meccanismo di selezione politica rappresentativa degli Stati Uniti abbia potuto incepparsi permettendo l'emergere di un personaggio atipico come Donald Trump.
Un tale il cui vocabolario è costituito da 100 parole la metà delle quali superlativi assoluti, abituato a nuotare in uno stagno certamente non olezzante come quello delle case da giuoco, delle bische, dei concorsi di bellezza, dell'edilizia di lusso.
Ma, contrariamente a quanto si crede, a votare per Donald Trump non sono stati soltanto milioni di cittadini motivati dalla rabbia di spezzare tutto, "tanto questo non può rubare perché i soldi ce l'ha", quanto anche molti appartenenti alla cosiddetta middle class professionale ipnotizzati dalla promessa diffusa a ruota libera di cambiamento rispetto all'odiato nero della Casa Bianca. Per i prossimi quattro e forse otto anni gli Stati Uniti (ed anche il mondo intero) saranno guidati ed influenzati da Donald Trump al quale il 20 gennaio 2017 viene dato il bastone di comando.
A questo singolare personaggio milioni di persone guardano come ad un vero leader, nel senso che saprà guidare un gregge spaurito verso un ovile sicuro, senza tante riverenze e minuetti parlamentari.
Nella diffusa furia iconoclastica che ha pervaso l'Europa e gli Stati Uniti è stata data alla gente comune la possibilità di esprimere la propria rabbia, voglia di contestazione, aspirazione ad un qualcosa di non meglio definito, e lo strumento che gli è stato dato nelle mani era il referendum. O quel tipo singolare di elezioni presidenziali americane che stanno mostrando quanto la Costituzione debba essere rivista fondamentalmente per garantire una sostanziale democraticità dell'espressione popolare.
Si è data insomma la possibilità a milioni di persone di urlare il proprio feroce disappunto e spaccare il servizio di piatti pregiato. Adesso si tratta di raccogliere i cocci, fare qualche gargarismo per riparare le corde vocali sbreccate e pensare a come gestire il futuro. Una pretesa non facile da realizzare proprio perché quel fossato tra casta e opinione pubblica si è fatto ormai incolmabile.
E siccome non esistono vuoti in natura e neanche in politica, tendenzialmente la gente si va orientando verso la cessione dei propri margini di libertà a favore di un leader - burattinaio che si assuma lui l'impegnativa esigenza di raccogliere i frammenti dei piatti spezzati e dare un senso alla organizzazione sociale. Si tratta di sentimenti di massa che già hanno caratterizzato decine di anni fa la nascita del nazismo in Germania e del fascismo in Italia, nel 1917 la rivoluzione sovietica.
Gli assertori di questa tesi sono quelli che citano il caso del premier Narendra Modi in India, della Cina e del risorto Vietnam. Ma soprattutto le Filippine nelle quali oggi impera, è il caso di dirlo, il presidente Rodrigo Duterte, un avvocato di provincia eletto sulla base della promessa che si sarebbe dato da fare per uccidere migliaia di spacciatori di droghe e criminali. La promessa sembra che Duterte la stia mantenendo al punto che ha dichiarato di avere eliminato personalmente tre di questi individui.
Un uomo del genere al gregge sta bene perché il gregge non vuol pensare dato che pensare è fatica, perché il gregge non ha voglia di decidere e di assumersi responsabilità, perché alle pecore del gregge sta bene che ci sia qualcuno che le fa pascolare dove l'erba è cresciuta e garantisce loro un momento di attenzione da parte del montone principale.
Per cambiare il cambiabile bisogna soprattutto cambiare noi stessi, trovare le motivazioni per gettare il cuore al di là dell'ostacolo, mettersi in gara avendo l'energia per farlo e lo stomaco per superare gli abbrutimenti della corsa, dare prevalenza agli ideali (ammesso che si riesca di nuovo a identificarne qualcuno), lasciare da parte il "ma chi me lo fa fare?", credere nella gioia di lavorare a sostegno degli altri e non solo per il proprio interesse.
Altrimenti: dateci Duterte !


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