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Antonello Avallone in NOVECENTO

giovedì, 16 aprile 2015 14:12

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Dal nostro inviato
Alessandra D'Annibale
b>Antonello Avallone mette a frutto tutte le sue doti interpretative e si cimenta con il bellissimo monologo di Baricco, da cui è stato tratto il famoso film di Giuseppe Tornatore, entrato dal 2011 nel repertorio dell’attore romano.
L’erede di Luigi Magni, Antonello Avallone merita davvero tutto il nostro plauso.
Il calore della sua voce, la sua presenza scenica, plasmano emozioni indicibili: è un artista pieno, completo.
Le doti interpretative del protagonista del monologo rendono lode al lavoro diAlessandro Baricco da cui è stato tratto il famoso film La leggenda del pianista sull’Oceano.
Una interpretazione personale, in un lavoro, che portato da Avallone affascina e tiene attento lo spettatore per ben due ore di spettacolo. C’è il mare e c’è il sorriso, il pianto, l’ironia e la musica jazz … è un racconto adattato al teatro che esce dal film e dal libro.
Un bel racconto, ma non un classico: incapace di rinnovarsi nelle sue diverse apparizioni. Tanto uguale a se stesso da creare un effetto boomerang, una difficoltà che però Avallone supera con grande maestria, senza necessariamente ricercare la verginità assoluta del testo.
Una interpretazione personalissima, che tocca tutte le emozioni, dal sorriso al pianto, dalla comicità al dramma, dall’ironia al surreale, che conduce lo spettatore nelle sfere più intime dei sentimenti, delle emozioni, attraverso il mito e la leggenda.
Una leggenda inventata da Baricco che può essere la metafora della condizione dell’artista, che non sa riconoscersi nei punti di riferimento e negli stili di vita tradizionali, sempre a metà strada tra mondi diversi, capace di parlare solo attraverso la sua arte.
La scena si compone di pochi elementi: un tavolino sulla destra con una bottiglia, una seduta geometrica sulla sinistra, un manichino al centro, di spalle. L’attore si muove nelle tre posizioni alternando momenti lirici, sottolineati dalla musica e dalla luce spot dall’alto concentrata sul protagonista, a sequenze narrative, nelle quali il dettato accelera con qualche imprecisione.
Nonostante la difficoltà del confronto con un testo sovraesposto, nell'adattamento di Avallone spiccano elementi interessanti e originali: la presenza del manichino, unita alla narrazione prevalentemente in terza persona, crea intorno al protagonista un’attesa che lo libera dalla contingenza della cronaca per collocarlo nel tempo sospeso della leggenda.
La scena cruciale nella quale Novecento, fermo sulla scaletta della nave, ripensa alla scelta di scendere a terra apre all’attore una dimensione metateatrale che fonde il personaggio con l’artista, la maschera con l’attore.
La musica jazz di sottofondo colora fortemente lo spettacolo diventando spesso travolgente protagonista della storia, immergendo il pubblico in una dimensione nuova e sconosciuta.
La storia di un pianista eccezionale, capace di suonare una musica meravigliosa. Il suo nome è Novecento ed è impossibile non esserne rapiti.
E’ nato e vissuto sul piroscafo Virginian ed è incapace di scendere ed affrontare la vita sulla terra ferma. La musica, quella che “suona perché l’oceano è grande e fa paura” è l’intera sua vita.
E’ una musica che può suonare attraverso ottantotto tasti, una musica infinita attraverso uno strumento finito. Questa è l’unica musica che Novecento sa suonare.
La vita vera è tutta un’altra cosa, tutta un’altra musica….
Uno spettacolo intriso di elementi poetici, capaci di toccare gli animi degli spettatori. E chi vuole immergersi in questa meravigliosa crociera di emozioni può farlo fino al 19 aprile al Teatro dell’Angelo di Roma.
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